Usaid Barho, 14 anni, è un bambino siriano, nativo di un villaggio nei pressi di Aleppo, reclutato a forza dallo Stato Islamico (Is), come tanti altri bambini della sua età e anche più giovani. Addestrato e indottrinato per un mese in un campo dell’Is in Siria, è stato portato in Iraq, scelto dai jihadisti per compiere un attentato suicida nella moschea sciita di Baghdad. Destinato al “martirio” secondo i dettami degli estremisti del califfo Abū Bakr al-Baghdādī. Doveva farsi esplodere il giovane Usaid, nel video che lo mostra con una cintura esplosiva legata al corpo, nascosta sotto la giacca. Doveva premere il detonatore e lasciarsi morire in mezzo alla gente in preghiera. Ma il ragazzo, appena davanti alla moschea, si è avvicinato alle guardie irachene, dicendo loro: “Ho un giubbotto esplosivo, ma non voglio farmi saltare in aria”.
Fermato dalla sicurezza è stato subito liberato dal corpetto mortale che lo legava a una fine drammatica. “Era quello l’unico modo per sfuggire ai miliziani dell’Is”, ha poi detto agli agenti cui si è consegnato. Salvando se stesso Usaid ha salvato la vita di tante persone che qualcuno gli aveva insegnato a odiare, solo perché appartenenti a un’altra corrente religiosa. Il suo destino doveva essere di morte, ma ha scelto la vita. Così facendo ha inflitto una dura sconfitta al califfo al-Baghdādī.
È passato poco meno di un anno, da quando nella piccola città sciita di Ibrahimzai, vicino a Islamabad (Pakistan), Aitzaz Hasan Bangash, 14 anni, si è immolato per fermare un attentatore suicida che voleva fare una strage nella sua scuola, in quel momento affollata da circa 2.000 studenti. Il 14enne ha visto l’ordigno addosso al terrorista e si è lanciato contro di lui per fermarlo.
Usaid e Hasan, due ragazzi che con la loro scelta ci dicono che non tutto è perduto e ci riconsegnano un po’ di quella speranza in un mondo di pace che quel Bambino, nato a Betlemme, porta da sempre con sé.