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La jihad dei miliziani dell’Isis si sposta in Arabia Saudita. E lo fa per estendere la sua rete fatta di violenza e morte. Un kamikaze ha ucciso domenica almeno tre guardie di frontiera, al confine tra il Paese del Golfo e l’Iraq. L’attacco – ha specificato il ministero dell’Interno di Riad – sarebbe la risposta dell’Isis all’adesione dell’Arabia Saudita “alla colazione” guidata dagli Usa contro il Califfato.

Sempre il ministero dell’Interno precisa che l’esplosione è stata preceduta da un confronto armato tra le guardie di frontiera saudite, che sono riuscite a uccidere un secondo aggressore e a disinnescare l’ordigno che portava sulla cintura stretta intorno al torace.

L’Arabia Saudita ha deciso di aderire alla coalizione anti-Isis nel settembre scorso. Secondo alcuni analisti, il Paese, patria dell’Islam wahabita, avrebbe fatto parte della “rat line”, rete di finanziamenti provenienti dai Paesi del Golfo e diretti a gruppi di terroristi islamici operanti in Medio Oriente, in Afghanistan e anche in altre zone.

Negli ultimi tempi, tuttavia, il re saudita, Abd Allah, aveva attaccato i “gruppi militanti estremisti che usano l’Islam come giustificazione dei loro atti terribili”. Anche il Gran Muftì dell’Arabia Saudita, Sheikh Abdul-Aziz Al al-Sheikh, si era espresso in termini simili. “L’estremismo islamico – ha detto la massima autorità religiosa del Paese – non fa in alcun modo parte dell’Islam, ma è il suo nemico numero uno e i musulmani le sue vittime”.

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