«L’auspicio è che mai più vi siano guerre, ma sempre desiderio e impegno di pace e di fraternità tra i popoli».
L’appello di Papa Francesco alla fratellanza universale è stato sovrastato dagli applausi il giorno di Capodanno, nel corso dell’Angelus: «Non più schiavi, perché le guerre ci fanno schiavi tutti. Siamo chiamati tutti a costruire secondo la propria responsabilità, e ricordate bene: la pace è sempre possibile e alla radice della pace c’è sempre la preghiera».
Parole che colgono nel segno: con lo spirare del 2014 ci si è lasciati alle spalle un anno insanguinato da guerre piccole e grandi, comunque col marchio della morte: le tensioni internazionali non sono affatto scemate. Terrorismo, violenza, fanatismo sfruttamento e crudeltà sono costantemente in agguato. Gli squilibri planetari creati dall’ingiustizia sono aumentati e restano sotto gli occhi di tutti.
Di fronte a questo stato di cose ed allo spettacolo deprimente di una pace ridotta a mera convenienza politica e privata della forza di un sistema di pensiero. in piazza san Pietro è risuonato un invito non generico e scontato, ma un richiamo alla pace quale strumento di liberazione, con specifico riferimento ai migranti di ogni parte del mondo e, in una visione più ampia, a quanti vengono oppressi per denaro: dalle donne avviate alla prostituzione ai bimbi ed agli adulti sottopagati e sfruttati dalle grandi multinazionali ai quattro angoli del pianeta. Un concetto che il Papa aveva già espresso il giorno dell’Immacolata, nel messaggio per la giornata mondiale della pace: «Spesso si crede che la schiavitù sia un fatto del passato. Invece, questa piaga sociale è fortemente presente anche nel mondo attuale. Per contrastarla occorre riconoscere l’inviolabile dignità di ogni persona umana e tenere fermo il riferimento alla fraternità, che richiede il superamento della diseguaglianza, in base alla quale un uomo può rendere schiavo un altro uomo, e il conseguente impegno di prossimità e gratuità per un cammino di liberazione e inclusione per tutti».
Insomma, perché la pace si affermi occorre costruire una civiltà fondata sulla pari dignità di tutti gli esseri umani, senza discriminazioni. Prima però di contare esclusivamente sulle istituzioni, e comunque solo sugli altri, si deve cominciare da se stessi, dal proprio personale orizzonte, facendolo diventare un arcobaleno di pace. È un’azione a prima vista forse modesta, ma come la catena dell’odio si allunga con atti singoli di vendetta, così l’amore dilaga solo se l’acqua viva e purificatrice del perdono, della generosità, della benevolenza viene costantemente e pazientemente arricchita da tanti piccoli rivoli che ognuno deve avere cura di immettere ed alimentare.
A questo ci chiama il Papa e ci indica la strada: ci sarà vera pace soltanto se e quando all’amore del potere si sostituirà il potere dell’amore.