I temi economici e di dottrina sociale cattolica sono al centro della nuova intervista rilasciata da papa Francesco a Giacomo Galeazzi e ad Andrea Tornielli ed inserita nel volume Papa Francesco. Questa economia uccide (Piemme, 2015), curato dai due vaticanisti della Stampa e in uscita martedì 13 gennaio.
Nell’intervista, di cui ampi stralci sono stati pubblicati oggi sul quotidiano torinese, il Santo Padre chiarisce il suo pensiero in merito all’equità sociale e ribadisce a chiare lettere che l’attenzione della Chiesa verso i poveri non ha nulla che vedere con il marxismo.
Se da un lato Francesco riconosce che “la globalizzazione ha aiutato molte persone a sollevarsi dalla povertà”, dall’altro prende atto che “ne ha condannate tante altre a morire di fame”, facendo crescere “in termini assoluti” la ricchezza mondiale ma anche incrementando le “disparità” e le “nuove povertà”.
Il Pontefice ha poi ribadito: “Quando al centro del sistema non c’è più l’uomo ma il denaro, quando il denaro diventa un idolo, gli uomini e le donne sono ridotti a semplici strumenti di un sistema sociale ed economico caratterizzato, anzi dominato da profondi squilibri”.
Si impone così la “cultura dello scarto”, che colpisce in particolare i bambini – con l’aborto – e gli anziani – con “l’eutanasia nascosta” – ma anche i giovani: “Mi ha impressionato apprendere che nei Paesi sviluppati ci sono tanti milioni di giovani al di sotto dei 25 anni che non hanno lavoro”, ha detto a tal proposito il Santo Padre.
“A volte mi chiedo: quale sarà il prossimo scarto? Dobbiamo fermarci in tempo. Fermiamoci, per favore!”, ha ammonito il Papa, esortando anche il mondo a non rassegnarsi a considerare questo tipo di cultura come “irreversibile”.
C’è bisogno, tuttavia, di più etica, non soltanto in economia ma anche “in politica”, ha aggiunto il Santo Padre, affermando di aver ricevuto, nei suoi quasi due anni di pontificato, numerose richieste di “indicazioni etiche” da parte dei leader politici.
Come già aveva sottolineato Benedetto XVI nella Caritas in Veritate, c’è bisogno di “uomini e donne con le braccia alzate verso Dio per pregarlo, consapevoli che l’amore e la condivisione da cui deriva l’autentico sviluppo, non sono un prodotto delle nostre mani, ma un dono da chiedere”, ha affermato Francesco.
È inoltre necessario, ha proseguito il Papa, rimettere al centro il “bene comune” a tutti i livelli istituzionali, e non è più possibile esitare nel “risolvere le cause strutturali della povertà, per guarire le nostre società da una malattia che può solo portare verso nuove crisi”.
Al tempo stesso “i mercati e la speculazione finanziaria non possono godere di un’autonomia assoluta” e serve una “migliore distribuzione delle risorse”, con la “creazione di lavoro”, e “la promozione integrale di chi è escluso”.
Papa Francesco considera poi “profetiche” le denunce del suo predecessore Pio XI, quando, nella Quadragesimo Anno, denunciò “la verità dopo la crisi economico-finanziaria del 1929”; questo pontefice nella sua analisi non fu “esagerato”: lo sono, al contrario, “coloro che ancora oggi si sentono chiamati in causa dai richiami di Pio XI…”, ha osservato Bergoglio.
“Ancora valide” e sempre più “comprovate dall’esperienza”, secondo il Papa regnante, sono anche le affermazioni del beato Paolo VI nella Popolorum Progressio e, prima ancora di San Pio X nel vecchio Catechismo, quando rispettivamente affermavano che la proprietà privata non è un diritto assoluta ma è subordinata al bene comune, e che opprimere i poveri e defraudare della giusta mercede gli operai è tra i peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio.
Di seguito il Pontefice respinge l’accusa di “pauperismo” – rivoltagli da alcuni liberisti – definendolo una “caricatura del Vangelo e della stessa povertà”. Questa corrente di pensiero, ha ricordato, fu diffusa per un certo periodo nel Medioevo: fu tuttavia san Francesco a ridimensionarla aiutandoci a “scoprire il legame profondo tra la povertà e il cammino evangelico”.
Aiutare “chi è povero”, “chi soffre nel corpo e nello spirito“ o “chi è nel bisogno”, ha sottolineato Bergoglio, non è “pauperismo” ma è “Vangelo” e quello del Vangelo è “un messaggio rivolto a tutti”, in quanto “non condanna i ricchi ma l’idolatria della ricchezza, quell’idolatria che rende insensibili al grido del povero”.
La “scelta preferenziale per i poveri”, quindi, non è una “novità” ma è, piuttosto “un’attenzione che ha la sua origine nel Vangelo ed è documentata già nei primi secoli di cristianesimo”.
Citare quanto affermavano i primi Padri della Chiesa (II-III secolo) sulla cura ai poveri non significa pronunciare una “omelia marxista”, ha puntualizzato papa Francesco.
A tal proposito, il Pontefice ha menzionato Sant’Ambrogio, per il quale “la terra è data a tutti, e non solamente ai ricchi”, e San Giovanni Crisostomo, che affermava: “Non condividere i propri beni con i poveri significa derubarli e privarli della vita. I beni che possediamo non sono nostri, ma loro”.
L’attenzione per i poveri, dunque, “è nel Vangelo, ed è nella tradizione della Chiesa, non è un’invenzione del comunismo e non bisogna ideologizzarla, come alcune volte è accaduto nel corso della storia”, ha aggiunto ancora il Papa.
0 commenti