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“I musulmani francesi? Gran da fare nel campo dell’educazione”

Di Maria Chiara Biagioni

La Francia è stata colpita e proprio perché è stata colpita, ha mostrato che non si lascerà abbattere. Il movimento di risveglio che abbiamo visto in questi giorni, è il segno che la paura non avrà l’ultima parola”. Monsignor Olivier Ribadeau Dumas, segretario generale e portavoce dei vescovi francesi, è nel suo ufficio della Conferenza episcopale francese. Si è appena concluso il Consiglio permanente dove inevitabilmente all’indomani della grande “Marche Républicaine”, si è sviluppata una riflessione sugli avvenimenti che nel giro di una settimana hanno profondamento cambiato il volto di questo Paese.

La Francia il giorno dopo. Che cosa vi preoccupa di più?

“Bisognerà innanzitutto vedere quale seguito avranno gli avvenimenti. Non sappiamo se questo sussulto nazionale che si è manifestato con le marce in tutto il Paese, è capace di allontanare gli attacchi terroristici o se i terroristi possono dire: ‘Non hanno paura, facciamogli vedere cosa è veramente la paura’. E poi bisognerà capire se questo movimento di unità nazionale si svilupperà. La Francia uscirà da questi avvenimenti più forte ma tutti – la politica, le religioni e le istituzioni civili – devono e possono giocare un ruolo molto importante”.

Cinquantaquattro atti islamofobi e 21 moschee attaccate dopo l’attentato a Charlie Hebdo. C’è pericolo di semplificazioni?
“È il segno evidente che c’è nel Paese un rapporto difficile con il fattore religioso. Le moschee sono state attaccate ma degli ebrei sono stati uccisi e dei siti Internet cattolici sono stati piratati questo fine settimana. Dobbiamo allora permettere che ogni religione trovi il suo giusto posto in questo sistema francese fondato sulla laicità e chiedere alla società e allo Stato di garantirlo. Penso che i musulmani che sono le vittime indirette e dirette di questi attacchi, hanno un grande lavoro da fare nel campo della educazione, per permettere ai loro fedeli di vivere la società francese come una opportunità e non come un’aggressione”.

Ciò che accaduto in questi giorni in Francia non rappresenta un fallimento del sistema di laicità “alla francese”?
“No, non credo che si tratti di un fallimento del nostro sistema di laicità francese. Credo che si tratti piuttosto di una sfida alla laicità. È lo Stato a essere laico, non la nostra società. La società deve permettere a tutti, atei, ebrei, cristiani, musulmani, buddisti di vivere pienamente e in rispetto con l’altro ciò che sono e ciò in cui credono”.

Come?
“Il nostro avvenire si gioca a scuola e nelle università per permettere ai giovani di assumere le differenze e conoscerle, e capire che è possibile non solo accettarle ma anche stimarle”.

L’educazione, appunto. È stato un altro fallimento. Gli attentati sono opera di giovani francesi. Come è stato possibile?

“In effetti è la prima volta che degli attentati sono perpetrati da giovani che sono nati e cresciuti nel nostro sistema francese. È il segno che l’integrazione non ha coinvolto una parte della nostra popolazione: per alcuni le ragioni vanno ricercate nel sistema delle banlieue che non ha permesso alle persone d’integrarsi socialmente nella vita; per altri nell’assenza di cultura identitaria che non ha permesso a questi giovani di identificarsi in qualcosa portandoli verso il fondamentalismo di matrice islamica dove hanno trovato il cuore della propria identità. Occorre allora ritrovare il senso di essere cittadini di uno stesso Paese a qualsiasi religione e convinzione si appartenga”.

Alcuni non hanno partecipato alla Marcia in dissenso con la linea editoriale di Charlie Hebdo. Lei che idea si è fatto?
“La libertà di espressione è il segno di civiltà di una società evoluta. Cattolici e musulmani sono stati vittime di Charlie Hebdo. Ci sono stati attacchi contro il cuore della nostra fede che ci hanno fatto male. La libertà di espressione non è senza limiti, non è onnipotente e deve coniugarsi con la libertà di coscienza e la libertà di culto e di religione. Direi però che oggi è il tempo della riflessione e dell’azione. È urgente non fomentare ciò che distrugge e ci divide. È il tempo della ricerca del bene comune e dell’interesse generale. Bisogna che insieme troviamo la forza delle ragioni del nostro vivere insieme”.

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