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“Sì alla libertà di espressione, ma darei un pugno a chi offende mia mamma”

Di Salvatore Cernuzio da Zenit

Incisivo, sincero, diretto. Francesco, nonostante il fuso orario e i tre giorni tutti d’un fiato vissuti in Sri Lanka, risponde lucidamente alle domande dei giornalisti presenti sul volo papale. Delle 6 ore di viaggio da Colombo a Manila, Bergoglio ne trascorre infatti quasi una intera tra cameraman e cronisti, non tirandosi indietro davanti a quesiti riguardanti temi caldi.

Come il dibattito isterico su libertà religiosa e di espressione scaturito dopo il massacro di Parigi dei vignettisti della rivista satirica “Charlie Hebdo”. Un giornalista francese sottopone la questione all’attenzione del Papa, il quale, prima riflette, e poi risponde di getto in modo per nulla scontato. Il Pontefice parte dal ribadire che libertà religiosa e libertà di espressione sono entrambi “diritti umani fondamentali” e che “ognuno ha il diritto di praticare liberamente la propria religione”, così come “ognuno ha non solo la libertà e il diritto ma anche l’obbligo di dire ciò che pensa per aiutare il bene comune”.

Questa libertà non deve scadere tuttavia nella offesa della fede o della identità religiosa altrui. Tantomeno – sottolinea il Papa – “si può fare la guerra, uccidere in nome della propria religione, in nome di Dio”. Una cosa che è davvero “un’aberrazione”.

Dunque va bene essere liberi di esprimersi, “ma senza offendere”, rimarca Bergoglio, perché “è vero che non si può reagire violentemente, ma se il dottor Gasbarri, che è un amico, dice una parolaccia contro mia mamma, gli spetta un pugno. Non si può provocare, non si può insultare la fede degli altri”.

Francesco ricorda allora le profetiche ma allora contestatissime parole di Benedetto XVI nella lectio di Ratisbona del 2006, in cui Ratzinger aveva parlato “di questa mentalità post-positivista, della metafisica post-positivista, che portava a credere che le religioni o le espressioni religiose sono un sorta di sottoculture, tollerate, ma sono poca cosa, non fanno parte della cultura illuminista”.

“Questa è un’eredità dell’illuminismo”, osserva il Santo Padre, “tanta gente che sparla, prende in giro, si prende gioco della religione degli altri. Questi provocano e può accadere quello che accadrebbe al dottor Gasbarri se dicesse qualcosa contro mia mamma”. Quindi “c’è un limite”, perché “ogni religione ha dignità”, soprattutto la religione “che rispetti la vita umana, la persona umana, io non posso prenderla in giro”.

Restando in tema di attacchi e minacce, al Papa viene domandato se tema per la sua sicurezza o per eventuali attentati in Vaticano. “A me preoccupano i fedeli”, risponde disarmante il Pontefice, “davvero, e su questo ho parlato con la sicurezza vaticana”. Poi, aggiunge: “Lei sa che io ho un difetto, una bella dose di incoscienza. Alcune volte mi sono chiesto: ma se accadesse a me? Ho soltanto chiesto al Signore la grazia che non mi faccia male perché non sono coraggioso davanti al dolore, sono molto timoroso”. In ogni caso il miglior modo per rispondere alle minacce, afferma il Papa, è “essere mite, umile, come il pane, senza fare aggressioni”.

Una mitezza che viene messa a dura prova davanti a casi come quelli dei bambini usati per attentati terroristici, come accaduto alcuni giorni fa con le adolescenti kamikaze in Nigeria e con il video choc del bambino killer di due vittime dell’Isis. Il Papa esprime tutto il suo rammarico per il fatto che ancora una volta l’infanzia venga violata: i bambini, dice, “sono usati dappertutto per tante cose, sfruttati nel lavoro, come schiavi, sfruttati sessualmente… Sono sfruttati anche per questo, per gli attentati kamikaze”.

In proposito osserva che, probabilmente, dietro ogni attentato suicida “c’è un elemento di squilibrio umano, non so se mentale, ma umano. Qualcosa che non va nella persona”, che “dà la vita ma non la dà bene. C’è tanta gente che lavora, come per esempio i missionari: danno la vita, ma per costruire. Il kamikaze invece dà la vita per distruggere. C’è qualcosa che non va”.

Qualcosa non va pure nel rapporto tra l’essere umano e la natura: l’uomo, afferma il Santo Padre, “dà schiaffi alla natura” ed ha “una responsabilità nei cambi climatici”. “Ci siamo un po’ impadroniti della natura, della madre terra” e “l’abbiamo sfruttata troppo”.

Proprio su questi temi verterà la nuova enciclica, la cui bozza è stata preparata dal cardinale Turkson. Poi, spiega il Papa, “ci ho lavorato io e ho preparato la terza bozza e l’ho inviata alla Congregazione per la dottrina della fede, alla Segreteria di Stato e al teologo della Casa pontificia, perché studiassero che non dicessi stupidaggini. Adesso mi prenderò tutta una settimana di marzo per finirla. Quindi andrà in traduzione. Penso che se il lavoro va bene, a giugno-luglio potrà uscire”. L’importante, osserva Francesco, “è che ci sia un po’ di tempo tra l’uscita e il prossimo incontro sul clima di Parigi”.

Sul tema del clima il Papa auspica un “sentire comune” con le religioni e annuncia la proposta di fare un nuovo incontro ad Assisi con i leader religiosi contro la violenza, che genera parecchia “inquietudine” tra i rappresentanti delle altre fedi. Sempre in tema di dialogo interreligioso, Bergoglio spiega i retroscena della visita fuori programma di ieri pomeriggio nel tempio buddista: un gesto di cortesia verso il monaco che guida il tempio, molto amico del cardinale Ranjith, che era venuto a salutarlo all’aeroporto. Ma soprattutto un gesto che voleva sottolineare il valore della “interreligiosità” che per la Chiesa è “una grazia”.

Come una grazia è stata la canonizzazione dell’apostolo del Ceylon padre Giuseppe Vaz, elevato agli onori degli altari con la metodologia “equipollente”, ovvero quella usata per tutti gli uomini e le donne beati da tanto tempo, venerati come santi dal popolo di Dio, per cui non si svolge il processo sul miracolo. La stessa formula Papa Francesco l’ha utilizzata per Angela da Foligno, Pietro Favre, gli evangelizzatori del Canada, il santo brasiliano fondatore di San Paolo e Junipero Serra, che canonizzerà durante il suo viaggio negli Stati Uniti a settembre. Tutte figure “che hanno fatto una forte evangelizzazione e sono in sintonia con la spiritualità dell’Evangelii gaudium”.

Tracciando un bilancio poi dei suoi tre giorni in Sri Lanka, Francesco si dice molto colpito dalle parole del nuovo presidente di voler “creare l’armonia nel popolo, che è più della pace e della riconciliazione”, e che essa “ci darà la felicità e la gioia”. Per far questo bisogna però “arrivare al cuore del popolo”, che “sa cosa siano le ingiustizie, le sofferenze inflitte dalle dittature”. “Soltanto arrivando lì possiamo trovare strade giuste senza compromessi”, afferma il Santo Padre, puntando cioè sempre a chi sta più in basso.

Non a caso il nocciolo del suo messaggio nelle Filippine saranno i poveri: “I poveri che vogliono andare avanti – afferma – i poveri che hanno sofferto il tifone Yolanda e che ancora soffrono le sue conseguenze, i poveri che hanno la fede, la speranza. Il popolo di Dio, i poveri, i poveri sfruttati da quelli che determinano tante ingiustizie sociali, spirituali, esistenziali”.

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