E così succede che tanta gente, nel tentativo di porre rimedio a questo vuoto, prova a rivolgersi a un “professionista delle coccole” (negli Stati Uniti basta pagare 80 dollari per un’ora di abbracci) oppure a un’apposita App che consente loro di esaudire questo desiderio. Può davvero un abbraccio diventare un gesto artificiale? E se così fosse, che fine fanno i nostri sentimenti che tanto declama Neruda? L’App che rende possibile tutto ciò si chiama “Cuddlr” (dall’inglese cuddle, abbracciare, coccolare). È stata inventata negli Stati Uniti e lanciata il 18 settembre 2014 e ha registrato fino ad ora più di 240mila download in diversi Stati americani. Usarla è facile: una volta scaricata individua nelle vicinanze chi è disponibile a ricevere o concedere un abbraccio. Nonostante l’intento dell’App non lasci spazio a maliziose interpretazioni, c’è chi lamenta che questo meccanismo non è altro che una “mercificazione dell’intimità”. Mentre altri dicono che, in fondo, non c’è nulla di male e che anzi questi abbracci hanno un effetto terapeutico su chi li riceve.
In fin dei conti, procacciare un abbraccio significa desiderare affetto, e gli utenti di Cuddlr lo fanno scegliendo sicuramente un modo curioso e discutibile, che tuttavia non costituisce scandalo. Diciamo la verità: un abbraccio sincero non ha prezzo! Specialmente se lo riceviamo al momento giusto. È del tutto evidente che sia il “professionista delle coccole” che l’App Cuddlr non potranno mai trasmettere i veri sentimenti. Il problema allora è tutto nella qualità della relazione. Cogliamo, dunque, il segnale: c’è una grande domanda d’intensità e di spontaneità. Di un bacio, di una carezza, di un abbraccio. L’umanità è salva! Possiamo rilassarci…