Infatti, se si va a scavare a fondo, si noterà come il legame fra parola e immagine è un elemento costitutivo del cristianesimo. Basta pensare a due passi biblici. Il primo tratto dal prologo del Vangelo di Giovanni, l’altro dalla lettera di Paolo ai Colossesi.
San Giovanni scrive “Il Verbo si è fatto carne” (Gv 1,14). Con queste parole l’evangelista esprime il cuore della fede cristiana, secondo la quale l’infinito si è fatto conoscere nel limite della condizione umana, ciò che per sua natura è incontenibile ha preso una forma, ciò che non era visibile ha accettato di farsi vedere ai nostri occhi.
Che dire poi di quanto affermato da Paolo nella lettera ai Colossesi? L’apostolo delle genti scrive infatti che Cristo “è l’immagine del Dio invisibile” (Col 1,15).
Se il binomio parola-immagine è un elemento fondamentale nella rivelazione cristiana, esso non può essere trascurato in tutte quelle attività come la catechesi o l’irc, che, a diverso titolo, si adoperano a fare conoscere questa rivelazione.
Immergendosi nell’universo dell’arte sacra, si può avere quasi l’impressione che il fine della religione sia quello di promuovere le belle arti. Ovviamente le cose non stanno così, in quanto il compito della religione è quello di far entrare l’uomo in comunione con Dio, però è come se la religione, in preda ad un eccesso di bene, traboccasse e producesse frutti anche in campi che non sono totalmente suoi.
Credo che se volessimo sintetizzare quello che abbiamo detto con un’opera d’arte, non potremmo che scegliere il San Luca di El Greco. L’evangelista, vestito di verde, regge con una mano il libro dei vangeli, aperto verso di noi, sul quale possiamo vedere una pagina scritta a sinistra e una dipinta a destra. Il santo, con la mano destra, ci porge una penna, quasi invitandoci a continuare l’opera di scrittura del Vangelo. Sì, perché l’arte, tanto quanto la scrittura, ci interroga e ci provoca sul senso della nostra esistenza.