Zenit
Com’è ormai sua consuetudine al rientro da ogni viaggio, papa Francesco ha fatto sosta a Santa Maria Maggiore per un momento di preghiera.
Atterrato all’aeroporto di Ciampino intorno alle 17.40, dopo un volo da Manila durato 14 ore, per la diciassettesima volta dall’inizio del suo pontificato, il Santo Padre si è recato presso la basilica giubilare, inginocchiandosi ai piedi dell’icona della Salus populi romani.
Per l’occasione, il Pontefice ha ringraziato per la protezione da lui chiesta alla Vergine, quando lo scorso 10 gennaio, in forma privata e riservata, si era recato sempre a Santa Maria Maggiore. Al termine della preghiera, il Papa è rientrato in Vaticano.
Dopo l’Asia, la prossima tappa di papa Francesco potrebbe essere l’Africa o l’America Latina.
Lo ha confidato il Santo Padre alla conferenza stampa durante il volo di ritorno da Manila, a conclusione di un viaggio definito dal Papa “impegnativo e, come diciamo in spagnolo, pasado por agua”.
Il Pontefice si è dichiarato particolarmente commosso dai “gesti buoni” del popolo filippino, tra cui ha menzionato quelli “dei papà quando alzavano i bambini” per la benedizione, come se dicessero: “questo è il mio tesoro, questo è il mio futuro, questo è il mio amore, per questo vale la pena lavorare, per questo vale la pena soffrire”.
Francesco ha apprezzato anche l’allegria dei ministranti a Tablocan, i quali “con quella pioggia, mai avevano perso il sorriso”, manifestando una “gioia non finta”, dietro alla quale “c’è la vita normale, ci sono i dolori, ci sono i problemi”.
Alla domanda se avesse intenzione di visitare alcuni tribolati paesi africani, il Santo Padre ha risposto di avere intenzione di andare nella Repubblica Centrafricana e in Uganda verso la fine quest’anno, cioè durante la stagione secca. Il ritardo nell’organizzazione del viaggio, ha spiegato, è stato dovuto al “problema dell’Ebola”.
Di seguito, il Papa ha accennato alla discriminazione di cui sono vittime i Tamil in Sri Lanka, anch’essi vittime di una “cultura dello scarto” che “oggi sembra normale”. Contro questa mentalità, ha detto, la Chiesa deve dare l’esempio e “rifiutare la mondanità” che, purtroppo, seduce anche “consacrati, vescovi, preti, suore, laici”.
Quindi, rispondendo ad una domanda sul significato dell’espressione “terrorismo di Stato”, utilizzata all’indomani dell’attentato contro Charlie Hebdo, e contrapposta al “terrorismo isolato”, il Santo Padre ha spiegato che davvero si può intendere lo scarto “come un terrorismo” perpetrato da parte di chi ha più potere a danno di chi non ne ha.
Altra espressione illustrata dal Pontefice è stata quella della “colonizzazione ideologica” che si verifica quando le “condizioni imposte dagli imperi colonizzatori, cercano di far perdere ai popoli la loro identità”, specie attraverso l’educazione della gioventù, un po’ come era avvenuto nel secolo scorso con i “Balilla” o con la “Gioventù Hitleriana” ma anche, in tempi più recenti con il “neo-Malthusianismo”, denunciato a suo tempo da Paolo VI.
È seguito un chiarimento sull’equivoco del “pugno” destinato a chi offende le madri altrui, secondo un’espressione usata dal Pontefice stesso durante la precedente conferenza stampa sul volo Colombo-Manila: “c’è libertà di espressione, una reazione violenta non è buona, è cattiva sempre – ha detto -. Tutti d’accordo. Ma nella pratica fermiamoci un po’, perché siamo umani e rischiamo di provocare gli altri e per questo la libertà deve essere accompagnata dalla prudenza”.
Rispondendo a una nuova domanda sui prossimi viaggi – nello specifico quello negli Stati Uniti del prossimo settembre – Francesco ha spiegato che la canonizzazione di Junipero Serra non si terrà in California, bensì al “Santuario di Washington”, mentre sono “ancora in bozza”, possibili viaggi in Ecuador, Bolivia e Paraguay.
Subito dopo, il Santo Padre è tornato su un altro suo cavallo di battaglia, la corruzione, un problema oggi “all’ordine del giorno”, che “trova subito facilmente nido nelle istituzioni” anche “ecclesiali” e che ha come conseguenza il “togliere al popolo”. E ha ricordato: “peccatori sì, corrotti mai! Dobbiamo chiedere perdono per quei cattolici, quei cristiani, che scandalizzano con la loro corruzione”.
Altro chiarimento ha riguardato il mancato incontro con il Dalai Lama: “È abitudine per il Protocollo della Segreteria di Stato di non ricevere Capi di Stato o gente di quel livello quando sono in una riunione internazionale qui a Roma”.
Quanto al suo appello ai leader moderati islamici perché si uniscano contro il terrorismo, il Papa ha affermato: “Io credo che anche bisogna dare un po’ di tempo perché per loro la situazione non è facile. Io ho speranza perché c’è tanta gente buona fra loro, tante gente buona, tanti leader buoni, che sono sicuro che si arriverà”.
Tornando sul tema demografico, Francesco si è detto fautore della “paternità responsabile”: per educare in tal senso “nella Chiesa ci sono i gruppi matrimoniali, ci sono gli esperti in questo, ci sono i pastori e si cerca”. Al tempo stesso, tuttavia, è importante “guardare anche la generosità di quel papà e di quella mamma che vede in ogni figlio un tesoro”.
Tra i “momenti forti” della sua visita pastorale nelle Filippine, il Pontefice ha menzionato la messa a Tacloban, celebrata con la mente rivolta alla “catastrofe” di un anno prima, pensando “ai miei peccati e a quella gente”, come pure all’atterraggio nella medesima località “con un vento di 70 km/h”, quando il Papa ha “preso sul serio l’avviso che dovevamo uscire all’una e non di più perché c’era pericolo di più”.
In conclusione il Pontefice ha accennato alla “capacità di piangere” in particolare “sulle ingiustizie” e “sui peccati”, come “grazia che dobbiamo chiedere”. Ha infine ricordato che dobbiamo essere “mendicanti” dei poveri, poiché “poveri ci evangelizzano”, avendo i valori che i ricchi non hanno: “Se noi togliamo i poveri dal Vangelo, non possiamo capire il messaggio di Gesù”.