La presenza di capi di Stato e di governo europei, così come dei presidenti delle principali istituzioni europee, alla marcia repubblicana dell’11 gennaio a Parigi, a seguito degli attentati contro la redazione di Charlie Hebdo e un supermercato kosher, la copertura eccezionale degli eventi in tutti i media europei e le impressionanti manifestazioni in molte capitali e città dell’Ue, hanno dimostrato che le famiglie delle vittime e la Francia non sono sole nel lutto e nel loro attaccamento alla libertà. Gli attentati (così come i successivi fatti di Bruxelles) hanno avuto risonanza mondiale – e si può notare in particolare la vicinanza dell’America del Nord -, ma il livello del sentimento di solidarietà e di appartenenza a una stessa comunità di destino è stato più forte in Europa.
È anche possibile che per molti cittadini dell’Unione europea, soprattutto tra i giovani, questi cinque giorni di gennaio 2015 – dall’attacco omicida contro la redazione di Charlie Hebdo di mercoledì alla marcia della domenica – costituiscano il momento unico di una presa di coscienza europea. Coscienza dell’identico attaccamento ai valori della libertà e, al contempo, dolorosa consapevolezza della stessa minaccia terroristica.
Questo momento di unità, al tempo stesso nazionale ed europea, offre la speranza di nuovi equilibri tra il livello nazionale e quello europeo. Tutto dipenderà dalla capacità dei nostri capi di Stato e di governo di formulare, in occasione del prossimo vertice europeo del 12 e 13 febbraio a Bruxelles, una risposta credibile alla minaccia terroristica. Il 19 gennaio i ministri degli Affari esteri hanno esaminato la questione del terrorismo e un’ulteriore tappa importante sarà la riunione informale dei ministri degli Interni a Riga il 29 e 30 gennaio. Infatti, la competenza principale in materia di lotta contro il terrorismo appartiene agli Stati membri. Tuttavia, da parte sua la Commissione europea aveva previsto nel suo programma di lavoro per il 2015 di presentare in primavera una nuova “agenda per la sicurezza nazionale”.
Si tratterà certamente di rilanciare il progetto Pnr (Passenger Name Record), che è attualmente bloccato al Parlamento europeo in nome del rispetto dei diritti fondamentali e a causa di dubbi sull’efficacia della misura nella lotta contro il terrorismo. Questo progetto dovrebbe consentire alle compagnie aeree di comunicare alle autorità i dati personali dei loro passeggeri diretti o provenienti da un Paese terzo nell’Unione europea. Un’altra misura, questa meno contestata, riguarda il rafforzamento del controllo delle frontiere esterne dell’Ue. Attualmente un controllo sistematico non riguarda che la validità dei passaporti presentati. Il punto è anche poter confrontare sistematicamente i documenti di viaggio con i database della polizia. In generale, s’intende rafforzare la cooperazione di polizia all’interno dell’Unione europea e intensificare la lotta contro il traffico illecito delle armi da fuoco.
Infine, il coordinatore Ue per la lotta al terrorismo, Gilles de Kerchove, ha annunciato l’istituzione di un gruppo di esperti incaricati di consigliare i governi sulla propaganda jihadista e sui mezzi per combatterla. Si pensa in particolare di contrastare la propaganda dello Stato islamico e di altri gruppi jihadisti molto attivi sui social network attraverso le testimonianze di persone che hanno abbandonato il jihadismo dopo un soggiorno in Siria o in Iraq.
In breve, ci vorranno soluzioni innovative e coraggiose per organizzare la lotta contro il terrorismo, per rendere sicure le frontiere dell’Unione europea e per mantenerla come un luogo eccezionale di libertà nel mondo. Spetta ai capi di Stato e di governo fornire orientamenti. Essi potranno contare per la prima volta, dopo lunghi anni, sul sostegno di una larga maggioranza di europei, che oggi si sente più solidale che mai e si rende conto che nessun Paese potrà affrontare da solo il terrorismo islamico. Insieme, invece, questo diventa possibile.
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