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L’Argentina non ha vinto la sua battaglia contro l’indigenza

Maribé Ruscica

Messi in guardia dagli effetti della caduta dei prezzi dei beni della regione – cioè petrolio, gas naturale, rame, oro, ferro, soia e mais – i Paesi dell’America Latina s’interrogano sul futuro delle loro economie. Dopo un decennio di trasformazioni, al ritmo di una crescita economica sostenuta e di una storica riduzione dei livelli di povertà, si parla adesso della fine del boom e cresce l’inquietudine. Si dice che l’America Latina potrà crescere un 2% nel 2015.

Economia in bilico. Forse nessun Paese è più strettamente legato alle oscillazioni del prezzo dei beni come il Venezuela che ha raggiunto un tasso d’inflazione annuo del 64%, il più alto della regione. Ma l’andamento dell’economia nel 2015 si presenta complesso per molti Paesi latinoamericani. Il Brasile, leader indiscutibile della regione, continuerà ad avere – secondo gli esperti – tassi bassi di crescita. In Argentina, dove attualmente esiste una forte discrepanza sul tasso d’inflazione tra la stime dell’Indec (Istituto nazionale di statistica e censo) e l’insieme delle stime private, nessuno nega che tra gli aumenti di più alto impatto c’è stato quello del paniere minimo. Mentre per l’Indec il tasso d’inflazione nel 2014 sarebbe arrivato al 24%, altre stime suggeriscono valori superiori al 40%. Secondo dati diffusi dal quotidiano Clarin, il 2014 sarebbe stato l’anno con l’inflazione più alta dei tre governi kirchneristi. Per l’economista Jorge Todesca di Finsport, intervistato dal giornale, “l’inflazione accumulata da novembre 2013 arriva a un 37,5%”.

Povertà in aumento.
I dati diffusi dallo stesso Istituto nazionale di statistica e censo tra Natale e Capodanno confermano il logorio evidente dell’economia argentina nel 2014. La produzione industriale è calata di un 1,2% nel mese di novembre. Il Pil, nel terzo trimestre, è sceso dello 0,8% rispetto allo stesso periodo del 2013 e gli investimenti nell’ultimo trimestre si sono ridotti del 4,7%. I posti di lavoro perduti nel corso dell’anno sono stati 395mila. Si è confermata inoltre una peggiore distribuzione della ricchezza: metà della popolazione è costretta a vivere con meno di 5mila pesos al mese, pari a meno di 400 euro, cifra assai lontana dai valori del “paniere minimo” secondo calcoli privati e di diverse province. Le dichiarazioni del primo ministro, Jorge Capitanich, che nel 2014 ha annunciato alla Camera dei Deputati che “praticamente l’Argentina aveva sradicato i livelli d’indigenza”, si sono rivelate errate. Secondo l’Indec, il tasso d’indigenza – nel primo semestre del 2013 – era dell’1,4%, ma il Centro Cifra della Centrale di lavoratori argentini (Cta), vicina al governo, ha ammesso che c’è un tasso di povertà del 4,4%, cioè che 1,8 milioni di persone vivono in condizioni d’indigenza. L’Osservatorio della Pontificia Università Cattolica argentina (Uca) sostiene che il tasso di povertà riguarda tra il 5,1% ed il 5,5% della popolazione. La povertà è cresciuta alla fine del 2014 e lo riconosce anche la stessa Cta. Secondo l’economista Juan Carlos De Pablo, ci dovrebbe essere a brevissimo termine “una riduzione del tasso annuo dell’inflazione perché l’aumento previsto dei prezzi è inferiore a quello risultato dalla svalutazione di fine anno 2013 e inizio del 2014”. Anche la Chiesa, attraverso le parole del presidente della Commissione episcopale per la pastorale sociale e vescovo di Gualeguaychu, monsignor Jorge Lozano, ha messo in guardia i politici, affermando che “non è possibile che perdurino i livelli attuali di povertà”.

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