Dalla TorreDi Gigliola Alfaro

Un invito a “non chiudere la salvezza delle persone dentro le strettoie del giuridicismo” e un elogio alla gratuità dei processi di nullità matrimoniale, nella consapevolezza che “l’abbandono di una prospettiva di fede sfocia inesorabilmente in una falsa conoscenza del matrimonio, che non rimane priva di conseguenze nella maturazione della volontà nuziale”. Sono alcuni dei passaggi del discorso odierno di Papa Francesco alla Rota Romana. Al canonista Giuseppe Dalla Torre abbiamo chiesto di ripercorrere insieme i passaggi più interessanti.

Quanto pesa la crisi di fede sulla crisi del matrimonio?
“Credo che abbia una notevole incidenza, perché è una crisi di fede ed è una crisi di conoscenza della realtà matrimoniale. I due aspetti si sommano e questo comporta l’allargarsi dell’area di rischio del contrarre matrimonio senza avere una adeguata conoscenza di ciò che realmente il matrimonio e in particolare il matrimonio cristiano sia. Ritengo che la situazione sia aggravata ulteriormente dal fatto che gli Stati con la creazione del matrimonio civile hanno staccato il matrimonio in sé da una radice religiosa, cosa che tradizionalmente, invece, era presente anche nell’antica Roma, prima del cristianesimo, riducendolo a un qualsiasi contratto dal quale si può recedere a proprio piacimento. Il Papa nel suo discorso ha evidenziato che il matrimonio tende ad essere visto come una mera forma di gratificazione. In effetti, oggi molti matrimoni vanno in crisi perché si parte da una concezione del matrimonio come istituto fonte di utilità personali: quando queste utilità personali vengono meno finisce il matrimonio. È chiaro che tutto questo significa una non conoscenza sia del matrimonio cristiano sia del matrimonio come realtà naturale. Il primo, infatti, è un sacramento, che si costruisce sulla realtà di un istituto naturale. Si è persa la consapevolezza di una stabilità nel tempo, di un patto in cui il consenso è irrevocabile o di un’istituzione con rilevanza pubblica e non solo privata. Il fatto che si parli oggi di più famiglie e di vari modelli di matrimonio significa proprio che la cultura disorienta su quella che è la realtà naturale del matrimonio, verificabile presso ogni cultura e in ogni epoca storica”.

Il Papa parla anche delle pressioni della mentalità corrente, diventata dominante attraverso i mass media…
“Credo che la responsabilità dei mass media sia fortissima, sia nella misura in cui sono solo specchi di ciò che avviene nella società, senza avere una preoccupazione di carattere pedagogico, formativo, valoriale, etico, sia perché diventano strumenti per scalzare valori tradizionali. Penso che il caso del matrimonio e della famiglia sia tipico, in relazione a esigenze portate avanti da posizioni che sarebbero di per sé minoritarie”.

In questo clima culturale, quanto è importante il ruolo del giudice canonico nel ponderare la validità del consenso espresso?

“Il giudice deve avere una formazione scrupolosa, non solo in termini giuridici, ma anche di sensibilità etica, deve mirare alla giustizia, cioè il vero oggettivo, a mio avviso, senza nemmeno lasciarsi trascinare da sentimenti di misericordia, che possono essere umanamente comprensibili, ma non si fa giustizia con la misericordia. Credo che il giudice debba anche pregare molto perché il Signore possa illuminare la sua coscienza, possa fargli conoscere in profondità non ciò che appare, ma ciò che è realmente. Il diritto canonico non si può accontentare dell’accertamento di una verità processuale, ma deve cercare con tutte le sue forze di arrivare ad accertare la ‘verità vera’. Così si fa giustizia e così si risponde alle esigenze della comunità cristiana”.

Francesco ha fatto riferimento anche al bisogno di conversione pastorale delle strutture ecclesiastiche per offrire l’opus iustitiae a quanti si rivolgono alla Chiesa per fare luce sulla propria situazione coniugale. Cosa vuol dire?
“Nell’ambito della Chiesa il problema non è solo giuridico. I Tribunali ecclesiastici devono fare il loro compito con chiarezza, senza tentennamenti. Ma il problema della crisi del matrimonio e della famiglia interpella la Chiesa non solo nelle sue strutture giudiziarie, ma anche nella sua dimensione pastorale. Questo, a mio avviso, vale sia nel momento della preparazione al matrimonio, ma anche in quello della preparazione remota, cioè nella formazione di un modo di vedere e di sentire questo istituto e dell’impegno che il cristiano comunque si assume. Nello stesso tempo, c’è bisogno pure di un sostegno al percorso non solo delle famiglie in crisi, ma anche di quelle sane. Credo che ci sia un compito anche importante da parte dei fedeli laici, più avanti negli anni, con situazioni familiari solide, che possono stare vicini ai giovani”.

Come legge l’appello del Papa di non chiudere la salvezza delle persone dentro le strettoie del giuridicismo?

“Occorre avere una corretta idea di cosa sia il diritto canonico, che non è una sovrastruttura che deve in qualche modo ingabbiare la vita della comunità cristiana, ma è la stampella che è offerta a ciascuno di noi per poter meglio perseguire l’obiettivo finale che è la salvezza. Secondo me, questo invito del Papa è a considerare il diritto canonico e in particolare il diritto matrimoniale canonico nella sua specifica funzione, che certamente è molto diversa rispetto a quella del diritto degli Stati, che è prevalentemente di controllo e di orientamento sociale”.

Ancora una volta il Santo Padre ha voluto sottolineare che un rilevante numero di cause presso la Rota Romana sono di gratuito patrocinio. E ha aggiunto: “Quanto vorrei che tutti i processi fossero gratuiti”. C’è il rischio che si tratti di un procedimento solo per ricchi?
“Credo che questo problema in Italia sia sostanzialmente superato, perché la Conferenza episcopale italiana ha creato tutta una serie di azioni dirette a venire incontro alle persone. Nei Tribunali ecclesiastici ci sono avvocati di ufficio. Ma non penso che sia in tutto il mondo così, non solo a livello economico, ma anche di concreta accessibilità al Tribunale. In alcune zone geografiche possono essere a centinaia di chilometri. Tutto questo interpella la Chiesa perché si destinino risorse personali e di carattere economico per questo servizio”.

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