Parole coraggiose e di verità. Quelle pronunciate dal cardinale Angelo Bagnasco dinanzi ai confratelli del Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana. Il presidente della Cei ha volutamente utilizzato un’espressione, “noi Vescovi”, non consueta per un pastore sempre rispettoso dell’autonomia e del pluralismo. Civile come ecclesiale.
Al centro della sua riflessione la “colonizzazione ideologica” denunciata da Papa Francesco durante il recente viaggio in Asia, che Bagnasco vede manifestarsi nella realtà italiana attraverso la penetrazione della teoria del gender, anch’essa denunciata nel lontano 1995 dallo stesso Bergoglio nella “sua” Argentina. Una “rilettura” che lo porta ad affermare: “L’educazione della gioventù è talmente delicata e preziosa che non ammette ricatti o baratti di nessun tipo e in nessuna sede. Noi Vescovi su questo saremo sempre in prima linea a qualunque costo”. E per non lasciare alibi di alcun genere aggiunge: “…così come sul fronte della giustizia, dei poveri e dello stato sociale, che portiamo avanti grazie anche all’otto per mille… così come sul fronte della famiglia e della vita umana”.
Dunque, la stessa fermezza e la stessa convinzione sull’intero fronte dell’umano, senza distinzioni, senza selezioni, senza esclusioni. È l’uomo tutto intero che sta a cuore ai pastori italiani e non sono tollerate letture escludenti, che possano in qualche misura attribuire ai vescovi e dunque a tutti i credenti una sorta di selezione dei valori. Questo sì, questo no, in base a preferenze personali, umori del momento, calcoli contingenti, interessi malcelati.
Nella stagione di Francesco le parole devono avere il dono della chiarezza e sottoporsi al vaglio del “sì sì, no no” per essere credute. Devono inoltre saper definire l’orizzonte, senza che alcuno si senta escluso. E dunque, evocare a più riprese il tema della “colonizzazione ideologica”, come ha fatto il cardinale nella sua prolusione, sta a significare che la coscienza dei cattolici italiani deve farsi più accorta nella rilettura della realtà per adeguare la propria azione. Non è un caso che proprio in riferimento all’appuntamento del convegno decennale di Firenze il cardinale si interroghi: “Di quale uomo oggi parliamo?”. E si fa ancora più stringente: “Qual è lo scopo della colonizzazione in atto? Forse capovolgere l’alfabeto dell’umano e ridefinire le basi della persona e della società?”. Non c’è sapore di nostalgia nelle parole del cardinale, piuttosto è dalla realtà così com’è che vuole farsi interrogare, senza escludere nulla: famiglia, figli, aborto, qualità della vita, malattia e morte. Poi, con uno sguardo all’appuntamento di Firenze che dovrà essere “un laboratorio di riflessione, di esperienze, di racconto tra comunità, di messa in comune di prospettive, speranze e impegni” ribadisce che “se la famiglia è il baricentro esistenziale da preservare, l’impegno nella vita sociale è aspetto irrinunciabile della presenza dei cattolici nel nostro Paese”. Senza precludersi nessuno spazio di riflessione, azione e presenza.
E così dev’essere anche sul fronte del contrasto a certo fondamentalismo islamico che “riempie il vuoto nichilista dell’Occidente”. A pensarci bene, anche questo fondamentalismo con la sua “violenza esibita”, la sua “crudeltà sfacciata”, il suo “parossismo angosciato” vuole giocare la partita della “colonizzazione ideologica”. Attraverso il terrore e la barbarie vuole farci tutti schiavi di un’angoscia esistenziale. Saperlo contrastare con l’umanesimo vivificato dal Vangelo è una forma di resistenza dell’umano dinanzi alla “colonizzazione ideologica” del disumano. Una resistenza che ci fa dire, con profonda convinzione, che non si può mai uccidere in nome di Dio. E che al tempo stesso ci spinge a difendere l’alfabeto dell’umano dinanzi a ogni tentativo di riscriverlo a uso e consumo di un Occidente infiacchito e vittima del vuoto che ha creato, prima ancora che attorno a sé, dentro di sé.
Liberi sempre, della libertà del Vangelo. Colonizzati mai.