Il prezzo più alto è stato sicuramente pagato dai fratelli ebrei, oltre sei milioni di vittime innocenti. Ma non sono stati i soli. Altri gruppi e categorie di persone, numericamente molto più ridotti, sono stati massacrati dalla furia nazista. “I Rom in primo luogo, gli antifascisti, gli omosessuali, i menomati, i Testimoni di Geova, gli slavi, gli emarginati, i militari che rifiutarono di piegarsi ai nazifascisti” ed altri, come ha giustamente ricordato qualche giorno fa lo scrittore Moni Ovadia in un suo editoriale (gariwo.net). Chi nega questo consapevolmente, implicitamente o esplicitamente, mostra di aver interesse ad “israelianizzare tout court l’eredità dello sterminio. Questa manipolazione è non solo ingiusta, ma anche pericolosa, perché sottrae universalità alla memoria e tende a ridurla a una questione nazionale. È necessario contrastare questa deriva anche per ribadire il significato universale dello stesso calvario dei sei milioni di Ebrei”.
Non sembra peregrina, quindi, la conseguente proposta Ovadia di trasformare la Giornata della Memoria nel “Giorno delle Memorie”. “La nuova denominazione – scrive lo scrittore – dovrebbe riorientare le manifestazioni, gli studi, l’edificazione della casa della Memoria come laboratorio della cultura di pace, di giustizia, di uguaglianza nel ricordo di tutti i genocidi e degli stermini di massa”. Il dolore per le vittime innocenti, se sincero, è sempre inclusivo, non stila classifiche di diritto al ricordo, non guarda alle quantità. Perciò è nostro dovere continuare a fare memoria di tutti coloro che l’odio cieco ha spazzato via, senza distinzioni, perché non accada mai più.