La via italiana all’integrazione può passare anche dall’oratorio e dalla parrocchia. La parola d’ordine è evitare isolamento e ghettizzazione e favorire l’incontro. Ma per farlo occorre conoscenza e formazione. È questa la scommessa che ha portato la diocesi di Milano ad organizzare una serie di incontri formativi sul “dialogo interreligioso con i musulmani”. Inizialmente rivolto ai parroci e ai sacerdoti, il corso ha coinvolto via via una cinquantina di persone impegnate in diversi ambiti pastorali, dagli oratori ai doposcuola, dagli ospedali fino alle carceri. Il corso nasce dalla costatazione di una presenza sempre più numerosa di bimbi e famiglie di fede islamica non solo nella società italiana ma anche nelle parrocchie ambrosiane. Secondo un’indagine realizzata da Ismu, Fondazione Oratori Milanesi, Caritas Ambrosiana e Ufficio Pastorale Migranti, emerge infatti che quasi un terzo dei bambini che frequentano le attività dell’oratorio nella diocesi di Milano è di origine straniera e il 25% di questi è di fede islamica. Dalla ricerca emerge anche che sono di origine straniera il 27% dei ragazzi che frequentano l’oratorio estivo, circa il 26% di quelli che seguono le lezioni al doposcuola parrocchiale, il 15% di coloro che partecipano ai gruppi sportivi oratoriani. Addirittura in alcuni oratori della diocesi di Milano la presenza di minori stranieri raggiunge percentuali vicine al 40-50% sul totale dei frequentanti. Il corso si divide in dieci incontri e affronta diverse tematiche: chi sono i musulmani; quali sono le diverse tipologie dell’Islam; il Corano e il culto; la shari’à. Un incontro è riservato alle famiglie miste e alla pastorale dei matrimoni islamo-cristiani. Altri prevedono confronti diretti con gli imam che operano sul territorio. Il corso è partito proprio all’indomani degli attentati di Parigi e sull’onda dell’allarme terrorismo di matrice islamica scoppiato in Europa. Don Giampiero Alberti ne è il coordinatore.
Don Alberti, sia sincero. Quale situazione culturale avete riscontrato nei frequentatori del corso rispetto alla conoscenza dell’Islam e dei musulmani?
“Non mi permetto di giudicare nessuno. Posso però dire che tutti sentiamo l’urgenza di un discernimento sempre maggiore e la scelta di metterci con le nostre paure e le nostre difficoltà di fronte al desiderio di conoscere e confrontarci di più”.
Le paure. Sono aumentate dopo gli attentati di Parigi?
“Gli allarmismi non conducono a niente. Bisogna prendere coscienza della realtà. Abbiamo fiducia nelle autorità competenti e apprezziamo il loro lavoro. La paura si impossessa di noi quando non conosciamo le persone. Io lavoro perché tutte le parrocchie e tutti gli operatori pastorali abbiano il coraggio dell’incontro. Solo nell’incontro con l’altro, si favorisce la conoscenza, si promuove l’aiuto, si alimenta la carità e la stima reciproca. Solo se lavoriamo in questo senso cambieremo dal di dentro le nostre città”.
Ma i sacerdoti sono all’altezza di questo compito?
“Di fronte a quello che sta succedendo, emerge chiaramente che è proprio questo il momento favorevole per incontrare i musulmani. Perché se non li incontriamo adesso che sono nei nostri ambienti, il rischio è di perdere un treno che forse non passerà più”.
Cosa intende dire?
“Penso a quei preti che hanno in oratorio 6/7 ragazzi musulmani. Penso a quella parrocchia dove in settimana arrivano 30/40 famiglie musulmane per chiedere aiuto. Sono tutti momenti da valorizzare. Vedo invece che quando certi centri islamici attorno a noi riescono ad organizzarsi da soli, si isolano. E io ho paura dei ghetti. Ho paura che ci siano due percorsi educativi e di vita diversi”.
Ma quanto è forte la presenza islamica nelle parrocchie?
“È forte. Abbiamo fatto un’inchiesta dalla quale è emersa che i ragazzi di fede islamica nei nostri oratori sono davvero tanti. Le parrocchie organizzano corsi di dopo-scuola per insegnare l’italiano e sono tante le famiglie che mandano i loro figli nei nostri centri sportivi per giocare. Se noi siamo capaci di creare con loro dei rapporti, il percorso di integrazione procede bene. Ma se offriamo solo dei servizi, perdiamo una grande occasione”.
E cosa può succedere?
“Succede che ciascuno si isola. Lo sto vedendo in due città del Milanese dove i ragazzi musulmani prima andavano negli oratori e giocavano insieme ai loro coetanei italiani. Ad un certo punto hanno cominciato a frequentare il ‘loro’ oratorio e si sono isolati. Ma non è bello vedere ragazzi che frequentano insieme la scuola ma poi hanno una vita socio-religiosa distaccata”.
Insomma, la via italiana, don Alberti, qual è?
“La via italiana deve essere quella dell’incontro, del lavorare insieme e lavorare insieme sui valori comuni, come ci diceva il cardinale Martini. Le occasioni ci sono: abbiamo la preghiera come valore comune. Abbiamo la carità e l’educazione dei figli che ci accomunano. Quindi lavorare insieme è possibile. La via alternativa all’incontro non è praticabile. Si creano ghetti, si fomentano le tensioni, si giustificano le paure gli uni verso gli altri”.