Monastero Santa Speranza (24)

Lectio delle Sorelle Clarisse del Monastero Santa Speranza sulle letture di domenica 1 Febbraio

DIOCESI – Qualche studioso, commentando lo stile dell’evangelista Marco, fa notare che la sua narrazione ha come effetto quello di rappresentare “visivamente” i fatti descritti, al punto da far entrare il lettore stesso nel vivo della scena raccontata. Come quella che ascolteremo domenica prossima, 4^ del tempo ordinario, ambientata nella sinagoga di Cafarnao, in giorno di sabato. Gesù entra e si mette a insegnare.
Marco non ci dice “che cosa” insegna Gesù, ma ci dice “come” e lo fa descrivendo l’effetto che le sue parole hanno sui presenti: come in un quadro del Caravaggio, la parola di Gesù emana una forza che lascia gli astanti stupiti o, come dice il testo greco originale, “schiacciati”, come se in quel luogo fosse penetrato un vento impetuoso, il vento dello Spirito.
La Parola di Gesù che risuona in un luogo sacro, la sinagoga, e in un tempo sacro, il sabato, non è una esortazione moraleggiante o una storiella edificante, magari a lieto fine; la parola di Dio – dice la lettera agli Ebrei – è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra … e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore (4,12). Detto fatto: Gesù parla e, subito, viene alla luce “il male”: un uomo posseduto da uno spirito impuro che si mette a gridare: «Che vuoi da noi, Gesù Nazzareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!».
E Gesù lo scaccia, ancora con la potenza della sua parola.
Dopo aver fatto luce sulla realtà di male che abita anche il tempo e lo spazio sacro, quali possiamo essere noi e le nostre comunità cristiane, la Parola svela anche le divisioni che ci abitano (“che vuoi da noi?”), l’eterno conflitto tra il bene e il male, tra la vita e la morte, una guerra che Gesù ha vinto una volta per sempre con la Parola della Croce, in cui la nostra consegna è l’obbedienza alla sua Parola e la decisione di affrontare una lotta che non è indolore neanche per noi perché, come leggiamo, lo spirito impuro uscì da lui “straziandolo e gridando forte”.
Di questa “divisione” si preoccupa, nella seconda lettura (1Cor 7,32-35), san Paolo, il quale non pretende di imporre uno stato di vita (il celibato) piuttosto che un altro, ma ha a cuore che i credenti non siano dissipati nei sentimenti e nei pensieri del cuore, ma restino sempre fedeli (si traduce anche “stare sempre con”, uniti) al Signore, ma non per tenere “pie conversazioni” nei nostri circoli religiosi, ma perché, plasmati dalla Parola e temprati dalla lotta, siamo anche noi, con coraggio, “profeti” della verità e dell’amore.

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