Di Don Gian Luca Rosati
Cari lettori,
non è mia abitudine pubblicare le lettere che ricevo, ma in questo caso ho pensato di fare un’eccezione. Come vi accorgerete subito, il messaggio proviene da un passato remoto. Lo condivido con voi perché mi sembra sempre valido nei suoi contenuti. Spero che l’idea non vi dispiaccia e che il testo sia edificante per voi tutti, come lo è per me!
Caro don Gian Luca,
nell’apprestarvi ad assumere codesto nuovo incarico di curato, affidatovi dal mio illustrissimo confratello, il reverendissimo monsignor Carlo Bresciani, vi giungano graditi la mia benedizione e qualche paterno consiglio che potrebbe esservi utile nell’esercizio del vostro ministero.
Ricorderete sicuramente il giorno della vostra ordinazione, la grazia e l’amore che il Signore infuse nel vostro cuore e quella promessa che avete fatto di seguirlo, ovunque Egli avrebbe voluto condurvi. La via del Vangelo reca al martirio e la vostra giovane età vi fa sinceramente desiderare una fedeltà radicale. Questo vostro desiderio vi aiuterà a restare saldo nelle difficoltà; ben sapete, infatti, che i doveri annessi al ministero non sono liberi da ogni ostacolo o immuni da ogni pericolo e che la Chiesa non vi ha fatto sicurtà della vita! Essa vi ha avvertito che vi mandava come un agnello tra i lupi.
Vi capiterà di incontrare persone a cui potrebbe dispiacere ciò che a voi è comandato. Quando accadrà, non perdetevi d’animo: ricordatevi che il soffrire per la giustizia è il nostro vincere. Se non crediamo in questo, che cosa predichiamo? Di che cosa siamo maestri? Qual è la buona notizia che annunciamo ai poveri? Un giorno non ci sarà domandato se abbiamo saputo fare stare a dovere i potenti; ma ci sarà ben domandato se abbiamo adoperato i mezzi a nostra disposizione per compiere la missione, anche quando avessero voluto impedircelo.
Ora non abbiate timore: se è vero che nel vostro ministero v’è necessario il coraggio, per adempir le vostre obbligazioni, è pur vero che c’è Chi ve lo darà infallibilmente, quando glielo chiediate! Vi sovvenga l’esempio dei santi martiri. Credete voi che tutti quei milioni di martiri avessero naturalmente coraggio? Che non facessero naturalmente nessun conto della vita? Tanti giovinetti che cominciavano a gustarla, tanti vecchi avvezzi a rammaricarsi che fosse già vicina a finire, tante donzelle, tante spose, tante madri? Tutti hanno avuto coraggio; perché il coraggio era necessario, ed essi confidavano.
Se amerete il vostro gregge, se riporrete in esso il vostro cuore, le vostre cure, le vostre delizie, il coraggio non vi mancherà al bisogno: l’amore è intrepido.
Ciò che dovete fare, figliuolo, è amare; amare e pregare.
Insieme con le dottrine, date agli altri l’esempio e non rendetevi simile al dottor della legge, che carica gli altri di pesi che non posson portare, e che lui non toccherebbe con un dito.
Teniamo, dunque, accese le nostre lampade e presentiamo a Dio i nostri cuori miseri, vòti, perché Gli piaccia riempirli di quella carità, che ripara al passato, che assicura l’avvenire, che teme e confida, piange e si rallegra, con sapienza; che diventa in ogni caso la virtù di cui abbiamo bisogno.
Nel salutarvi, auguro a voi e alla vostra parrocchia ogni bene; il Buon Pastore vi guidi e vi protegga sempre!
+ Card. Federigo Borromeo, Arcivescovo di Milano
N.B.: Il testo della lettera si ispira ai capitoli XXV e XXVI de I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni. Nel testo sono presenti molte citazioni tratte dal romanzo. Non sono state messe tra virgolette perché avrebbero svelato fin dall’inizio la finzione, ma potete facilmente ritrovarle leggendo i due capitoli sopra indicati.
Ho composto questa lettera perché pensavo che sarebbe stato utile raccogliere i consigli pastorali del card. Borromeo a don Abbondio.