Leone XIII pubblicò il primo novembre 1885 l’enciclica Immortale Dei nella quale il Pontefice trattava della costituzione cristiana degli stati. Come è noto, la rivoluzione francese aveva segnato la fine dell’anciene regime, fondato sull’alleanza fra trono e altare, e l’inizio di un nuovo modo di concepire i rapporti fra politica e religione, che avrebbe portato alla progressiva separazione fra Stato e Chiesa.
Il documento pontificio cerca allora di descrivere il compito dei cristiani in questo mutato clima socio-politico, restando da una parte ancorato agli aspetti positivi dell’antica civiltà cristiana e dall’altra aperto a ridefinire nuove modalità di presenza dei cristiani nel mondo.
Si tratta di un documento profetico e attuale ed è per questo che vorremmo rileggerne alcuni passaggi. Il documento inizia con queste parole: “Quell’immortale opera di Dio misericordioso che è la Chiesa, sebbene in sé e per sua natura si proponga come scopo la salvezza delle anime e il raggiungimento della felicità celeste, pure anche nel campo delle cose terrene reca tali e tanti benefìci, quali più numerosi e maggiori non potrebbe se fosse stata istituita al precipuo e prioritario scopo di tutelare e assicurare la prosperità di questa vita terrena”.
Leone XIII descrive in poche parole e in maniera magistrale la storia della Chiesa, una comunità che, nella visione del Pontefice, ha uno scopo primario ed essenziale e cioè quello di fare avvicinare il maggior numero di persone al Dio che salva.
Ma qual è la conseguenza di ciò? La fede nel Dio che salva si mette in atto attraverso la carità viva ed operante ed ecco che abbiamo quella moltitudine di santi che si sono dedicati alle più svariate attività umane: ci sono cristiani che si sono dedicati alla cura dei malati, facendo progredire la medicina. Altri che, nel desiderio di conoscere le le leggi impresse dal Creatore nella natura, si sono dedicati alle scienze. Altri che si sono impegnati nella condivisione del sapere favorendo la nascita di scuole e università. Altri ancora che si sono presi cura degli orfani e dei poveri e hanno dato vita alle prime istituzioni di carattere sociale.
In tutti questi casi, la fede e la carità hanno finito per plasmare una civiltà, una cultura e hanno arrecato dei benefici dei quali tutt’ora oggi beneficiamo e questo perché l’adesione alla fede cristiana comporta un processo che parte nell’intimo dell’animo e finisce per coinvolgere ciò che è esterno. Dunque, questa “presa di posizione per Cristo”, lungi dall’essere un’esperienza intimistica e quasi un affare privato, diventa visibile e tangibile. Si tratta come di un “eccesso di grazia” per cui ciò che é spirituale finisce per avere un inevitabile riverbero di bene anche in ciò che è materiale.
Eppure questo “effluvio di bene”, ai tempi di Leone XIII come ai nostri giorni, è sistematicamente ignorato. Scrive infatti il Papa Pecci: “Eppure resiste quella tradizionale e oltraggiosa accusa secondo cui la Chiesa sarebbe in contrasto con gl’interessi dello Stato e del tutto incapace di dare un contributo a quelle esigenze di benessere e di decoro, cui a buon diritto e naturalmente tende ogni società ben ordinata”.
In tutta la modernità si assiste a questa sorta di pregiudizio nei confronti dell’avvenimento cristiano ritenuto d’ostacolo al progresso della società. Ma come è possibile pensare ciò di quella religione che promuove fra le sue norme principi naturali, solo per dirne alcuni, come il rispetto della vita e della proprietà privata?inoltre la “legge della Chiesa”, non solo si limita, come fa la “legge dello Stato” ad imporre dei precetti dall’esterno, ma va a lavorare sulla coscienza, sulla parte più interna dell’animo umano, per cui il credente, per sentirsi realizzato, non solo rispetta le regole, ma si fa promotore di iniziative che, animate dal fuoco della carità, migliorano l’intera società.
Tali pregiudizi, nota il Pontefice, accompagnano tutta la storia del cristianesimo sin dai suoi albori. Scrive infatti Leone XIII: “Sappiamo che fin dai primi tempi della Chiesa i cristiani erano perseguitati in nome di analogo, iniquo pregiudizio, e che si soleva anche additarli all’odio e al sospetto come nemici dell’impero: allora il popolo amava far ricadere sul nome cristiano la colpa di qualunque sventura si fosse abbattuta sullo Stato”.
Questo pregiudizio, per quanto illogico e immotivato, si è fatto strada, divenendo addirittura un “sistema”. Continua infatti il Papa: “Anzi, in questi ultimi tempi cominciò a prevalere e a farsi dominante ovunque quello che chiamano nuovo diritto, che proclamano essere come il frutto di un secolo ormai adulto, maturato attraverso il progredire della libertà”.
Il progredire della libertà, sganciata dalla responsabilità e dalla verità, ha fatto sorgere un nuova nuova forma di diritti, non direttamente collegati con la natura dell’uomo, ma piuttosto con un suo desiderio di emancipazione. Come non cogliere nelle parole di Leone XIII una profondissima analogia con i tempi odierni? Non è forse tutta la nostra epoca dominata dal senso dell’uomo adulto, cioè distaccato e indipendente da tutto ciò che gli sta attorno?