Gianni Borsa
Il rischio del mancato quorum era stato messo nel conto dai promotori referendari, che infatti ritenevano già un successo l’indizione del voto: “Grazie alla campagna – secondo Chromik – abbiamo potuto risvegliare l’interesse della gente su questo argomento e avviare un serio dibattito pubblico” sul valore della famiglia tradizionale. Ora, aggiunge, si tratta di proseguire l’impegno sul piano culturale e politico.
Appena giunto l’esito delle urne, i vescovi hanno rilasciato una dichiarazione con la quale ringraziano i cittadini che hanno espresso il proprio voto, per poi riflettere a voce alta: “Il fatto che la partecipazione al referendum non abbia raggiunto il quorum del 50% rappresenta senza dubbio un elemento di analisi e profonda riflessione”. Segue un incoraggiamento al Paese: “Crediamo che prendersi cura delle famiglie sia un tema importante per la vita pubblica e per il futuro della società”.
Sull’altro versante i detrattori del voto esultano, sottolineando il fallimento del “referendum omofobo”, ritenuto sin dall’inizio “inutile” e foriero di polarizzazioni politiche.
Il brusco risveglio all’indomani del mancato quorum, e con una partecipazione ritenuta modesta, apre diverse linee di riflessione che la vasta e radicata comunità cattolica slovacca intende rilanciare con lo stesso coraggioso ottimismo con cui è attiva in ambito pastorale, catechetico, caritativo. Si fa anche tesoro dell’incoraggiamento giunto nei giorni precedenti al voto da Papa Francesco, volto a “proseguire nell’impegno in difesa della famiglia, cellula vitale della società”. L’atteggiamento che sta emergendo è quello di proseguire il cammino: si riscontra infatti la necessità di un ulteriore sforzo educativo all’interno della realtà ecclesiale e di una rafforzata testimonianza sul piano civile del valore positivo e della bellezza della vita familiare, dei legami affettivi, del ruolo genitoriale. Un compito ampio e diffuso, motivato e competente, che non può prescindere da un rinnovato protagonismo laicale.
L’esperienza slovacca chiama pure in causa una valutazione di scala continentale. L’intento del voto del 7 febbraio era soprattutto quello di riposizionare la famiglia al centro della vita sociale, in un’epoca di individualismo crescente, di confusione valoriale e di insistenti pressioni culturali e giuridiche in senso anti-familiare. Le preoccupazioni slovacche sono diffuse in tutta Europa, anche se diversamente percepite e foriere di mobilitazioni di vario calibro. Il movimento “Manif pour tous” in Francia è spesso sulle prime pagine dei giornali; Slovenia e Croazia si sono misurate con iter legislativi e referendari come quello di Bratislava; in Spagna, Italia, Irlanda, Germania, Malta, Belgio, Polonia – per fare alcuni nomi – la tutela e promozione della vita e della famiglia è all’ordine del giorno. L’azione europea “One of us” (Uno di noi) per la protezione dell’embrione sta cercando di riorganizzarsi dopo il no della Commissione Ue a una iniziativa legislativa in tal senso. Ci sono realtà nazionali dove la voce delle Chiese riesce – vincendo timidezze e superando sterili posizioni difensive – a risuonare con maggior vigore; casi in cui è proprio il laicato organizzato ad essere protagonista di una testimonianza forte e credibile dei valori positivi che emergono dal Vangelo e che possono risultare universalmente condivisibili se vissuti in prima persona e trasmessi con coerenza e convinzione.
Dopo il voto slovacco, si riparte da qui. Anche queste sono sfide per una “Chiesa in uscita”.