L’energia “del futuro” non convince gli algerini. Almeno, non quelli di In Salah, località in pieno deserto del Sahara, dove le autorità nazionali e la compagnia parastatale Sonatrach vorrebbero far partire un progetto di sfruttamento del cosiddetto “shale gas” (o gas di scisto). Gli idrocarburi da estrarre dalle rocce in cui sono contenuti attraverso il processo di “fracking” o “fratturazione idraulica”, però, qui come in altre parti del mondo hanno suscitato proteste e diviso la popolazione.
Manifestazioni e smentite. “Disobbedienza civile” è lo slogan scelto a inizio gennaio dalla popolazione per mobilitarsi contro il progetto statale, che era partito con grandi ambizioni: 200 trivellazioni, un minimo di 70 miliardi di dollari di investimenti in vent’anni, con l’obiettivo di estrarre 20 milioni di metri cubici di gas. È bastato però aprire due pozzi esplorativi nell’area di Ahnet per dare il via alle manifestazioni pacifiche, che hanno interessato anche la città di Tamanrasset, la più importante della zona, distante oltre 600 chilometri. L’eco delle proteste pacifiche, infine, è arrivato fino ad Algeri, dove sono intervenuti nella vicenda sia i vertici di Sonatrach, sia il governo ai massimi livelli. “Forse non abbiamo comunicato abbastanza su questo punto”, ha riconosciuto il direttore operativo della compagnia statale, Said Sahnoun, per poi concedere, a distanza di qualche giorno: “La fattibilità tecnica e commerciale del progetto non è ancora stata determinata”, ragione per cui Sonatrach “non ha ancora preso una decisione sullo sfruttamento del gas di scisto”. A livello istituzionale, invece, ha parlato il presidente della Repubblica in persona, Abdelaziz Bouteflika; prima, inviando nell’area un suo emissario, il generale della sicurezza nazionale Abdelghani Hamel, poi dichiarando a sua volta che “lo sfruttamento di questa nuova energia non è all’ordine del giorno”.
Rischi ambientali. Le contrapposizioni, però, sono continuate. Da un lato le compagnie del settore definiscono quello di In Salah “gas pulito” (parole dello stesso direttore di Sonatrach) o mettono in evidenza, come la britannica BP – già collabora con l’azienda parastatale algerina – i programmi di “miglioramento delle prospettive educative e lavorative” che sono partiti nell’area a fianco dei progetti di sfruttamento. D’altro canto, gli attivisti ancora impegnati nella mobilitazione chiedono che “non ci siano conseguenze” per le popolazioni, soprattutto dal punto di vista ambientale. Sotto accusa restano gli agenti chimici utilizzati per il “fracking” – potenzialmente inquinanti – e soprattutto la gestione dei sottoprodotti della fratturazione, che potrebbero inquinare le falde acquifere. Non è certo, aggiungono poi gli oppositori, che il progetto di vendere lo “shale gas” sia conveniente, specialmente in un mercato mondiale colpito dai forti ribassi dei prezzi degli idrocarburi. Di fronte a queste incertezze la richiesta dei manifestanti, ha spiegato alla stampa locale Abdelkader Bouhafs, uno dei loro portavoce, è innanzitutto quella “di una commissione tecnica, che segua le trivellazioni dei pozzi” esplorativi.
Modelli di sviluppo. Le proteste di In Salah, però, hanno portato alla luce qualcosa in più delle perplessità economiche e ambientali. La mobilitazione contro “il gas di scisto – ha scritto ad esempio il giornalista Abed Charef sul “Quotidien d’Oran” – è l’effetto collaterale di una crisi politica: molti algerini sentono che una scelta fatta dal governo, nelle condizioni attuali, è per forza cattiva”. Conseguenze di un modello di sviluppo che ha fatto crescere i redditi statali – e quelli dell’élite al potere – ma di cui sul territorio si faticano a vedere le ricadute quotidiane. Scelte poco lungimiranti, da anni, sono denunciate anche dalla Caritas algerina, che mette in dubbio l’opportunità di investire negli idrocarburi in un contesto in cui i cambiamenti climatici stanno provocando conseguenze evidenti sul territorio: calo delle precipitazioni, diminuzione della varietà di specie vegetali e animali, erosione delle coste per effetto dell’innalzamento delle acque sono tra i fenomeni citati in un documento dell’organizzazione cattolica. “Secondo meteorologi ed esperti ambientali – vi si legge tra l’altro – in futuro bisognerà pensare a sviluppare fonti rinnovabili di energia”. Non sembra essere quindi lo “shale gas” il combustibile dell’avvenire.