Sulla scia del tradizionale insegnamento aristotelico, il Papa ricorda che l’uomo è un “animale sociale”: egli da solo non riuscirebbe a sentirsi realizzato, né a livello spirituale, né a livello materiale. Egli dunque ha bisogno di istituzioni come la famiglia o lo stato perché la sua naturale vocazione alla relazione possa realizzarsi.
Dopo aver spiegato come l’origine divina della società, il Pontefice spiega che allo stesso modo è di origine divina l’autorità che alcuni esercitano perché la collettività persegua il suo fine: “E poiché non può reggersi alcuna società, senza qualcuno che sia a capo di tutti e che spinga ciascuno, con efficace e coerente impulso, verso un fine comune, ne consegue che alla convivenza civile è necessaria un’autorità che la governi: e questa, non diversamente dalla società, proviene dalla natura e perciò da Dio stesso. Ne consegue che il potere pubblico per se stesso non può provenire che da Dio”.
Per Papa Pecci, l’autorità nella società umana è così importante che addirittura è un riflesso dell’autorità divina. Meglio ancora, attraverso l’autorità umana è possibile scorgere il mistero della sovranità divina: “Così come nelle cose visibili Dio creò le cause seconde perché vi si potessero scorgere in qualche modo la natura e l’azione divina, e perché indicassero il fine ultimo al quale sono dirette tutte le cose, allo stesso modo volle che nella società civile esistesse un potere sovrano, i cui depositari rimandassero in qualche modo l’immagine della potestà divina e della divina provvidenza sul genere umano”.
In questo passaggio Leone XIII sembra instaurare un’analogia fra la “sacramentalità della natura” e la “sacramentalità del potere”: come per San Paolo attraverso le perfezioni della Creazione si può risalire alla perfezione del Creatore, così attraverso il potere degli uomini si può risalire a quello di Dio.
Queste espressioni sono particolarmente difficili da comprendere per noi uomini d’oggi abituati a vivere in un contesto democratico ed effettivamente Leone XIII sembra influenzato dal contesto storico nel quale viveva. Egli però non si lega in modo statico e definitivo ai modelli del passato e relativizza la forma dello stato in vista del bene comune. Egli accetta ogni forma di governo, purché questa miri al bene dei cittadini. Il documento apre di fatto a nuove forme di potere e di gestione dello stato, come quelle ispirate ai principi democratici: “Il diritto d’imperio, poi, non è di per sé legato necessariamente ad alcuna particolare forma di governo: questo potrà a buon diritto assumere l’una o l’altra forma, purché effettivamente idonea all’utilità e al bene pubblico”.