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I cristiani nel mondo secondo Leone XIII (seconda parte). Di Nicola Rosetti

imageIl Pontefice passa poi a descrivere la visione cristiana della società e dello stato. Scrive Leone XIII: “Il vivere in una società civile è insito nella natura stessa dell’uomo: e poiché egli non può, nell’isolamento, procurarsi né il vitto né il vestiario necessario alla vita, né raggiungere la perfezione intellettuale e morale, per disposizione provvidenziale nasce atto a congiungersi e a riunirsi con gli altri uomini, tanto nella società domestica quanto nella società civile, la quale sola può fornirgli tutto quanto basta perfettamente alla vita”.

Sulla scia del tradizionale insegnamento aristotelico, il Papa ricorda che l’uomo è un “animale sociale”: egli da solo non riuscirebbe a sentirsi realizzato, né a livello spirituale, né a livello materiale. Egli dunque ha bisogno di istituzioni come la famiglia o lo stato perché la sua naturale vocazione alla relazione possa realizzarsi.

Dopo aver spiegato come l’origine divina della società, il Pontefice spiega che allo stesso modo è di origine divina l’autorità che alcuni esercitano perché la collettività persegua il suo fine: “E poiché non può reggersi alcuna società, senza qualcuno che sia a capo di tutti e che spinga ciascuno, con efficace e coerente impulso, verso un fine comune, ne consegue che alla convivenza civile è necessaria un’autorità che la governi: e questa, non diversamente dalla società, proviene dalla natura e perciò da Dio stesso. Ne consegue che il potere pubblico per se stesso non può provenire che da Dio”.

Per Papa Pecci, l’autorità nella società umana è così importante che addirittura è un riflesso dell’autorità divina. Meglio ancora, attraverso l’autorità umana è possibile scorgere il mistero della sovranità divina: “Così come nelle cose visibili Dio creò le cause seconde perché vi si potessero scorgere in qualche modo la natura e l’azione divina, e perché indicassero il fine ultimo al quale sono dirette tutte le cose, allo stesso modo volle che nella società civile esistesse un potere sovrano, i cui depositari rimandassero in qualche modo l’immagine della potestà divina e della divina provvidenza sul genere umano”.

In questo passaggio Leone XIII sembra instaurare un’analogia fra la “sacramentalità della natura” e la “sacramentalità del potere”: come per San Paolo attraverso le perfezioni della Creazione si può risalire alla perfezione del Creatore, così attraverso il potere degli uomini si può risalire a quello di Dio.

Queste espressioni sono particolarmente difficili da comprendere per noi uomini d’oggi abituati a vivere in un contesto democratico ed effettivamente Leone XIII sembra influenzato dal contesto storico nel quale viveva. Egli però non si lega in modo statico e definitivo ai modelli del passato e relativizza la forma dello stato in vista del bene comune. Egli accetta ogni forma di governo, purché questa miri al bene dei cittadini. Il documento apre di fatto a nuove forme di potere e di gestione dello stato, come quelle ispirate ai principi democratici: “Il diritto d’imperio, poi, non è di per sé legato necessariamente ad alcuna particolare forma di governo: questo potrà a buon diritto assumere l’una o l’altra forma, purché effettivamente idonea all’utilità e al bene pubblico”.