Detto questo, torniamo al decreto in via di preparazione. Oltre al tetto massimo di slot per ogni bar, si prevede un aumento della tassazione sulle vincite dal 6 all’8%, limitazioni alla pubblicità televisiva (con divieto dalle 16 alle 19); un fondo da 250 milioni di euro per curare le ludopatie (le migliaia di persone che ogni anno distruggono i propri averi nella ricerca del miraggio della vincita e quasi sempre cadono in profonda depressione); un incremento della lotta alla illegalità. Se così saranno le cose, s’impongono alcune considerazioni: anzitutto i tempi di entrata in vigore dei nuovi provvedimenti appaiono troppo lunghi (2017, cioè fra due lunghi anni in cui sostanzialmente non cambierebbe nulla). Inoltre lo Stato dimostrerebbe solo di voler limitare il fenomeno, ma non – come sarebbe auspicabile – di contrastarlo radicalmente. In terzo luogo, rimarrebbe aperta la porta al gioco patologico di quanti, magari in momenti di forte prostrazione lavorativa, cercherebbero questa estrema ancora di salvataggio, non comprendendo che la loro condizione sarebbe destinata al crollo definitivo e talvolta irrimediabile.
Ci chiediamo quindi se non sia il caso di prevedere, all’interno di questo pacchetto, almeno anche una qualche forma organizzata di lezioni scolastiche che insegnino chiaramente come la statistica del gioco d’azzardo sia chiaramente “contro” il giocatore. Così si formerebbero nuove generazioni più attrezzate culturalmente, e meno inclini a cascare nel tranello emotivo del gioco. Ma forse, si chiede troppo a uno Stato affamato di denaro che, ai livelli attuali, può contare su quasi una decina di miliardi di introiti fiscali provenienti dai giochi. Stato povero e affamato. Cittadini altrettanto poveri e indifesi. Brutta roba.