Meglio approfittarne, dunque, anche perché da questa settimana la legge prevede la possibilità di inoltrare, da parte delle autorità italiane, richieste mirate su questo o quel contribuente. E non sarà mai più possibile per la Svizzera negare l’accesso agli atti, opporre insomma quel muro di gomma contro il quale il nostro Fisco s’è scontrato per anni. Rimarrà comunque impossibile la “pesca a strascico” di informazioni generalizzate e indiscriminate: nessuna possibilità insomma di richiedere liste, ma solo si potrà agire con nome e cognome.
Le conseguenze positive sono due: da una parte si attende il ritorno in Italia di una consistente massa di denaro, soprattutto quello depositato oltre confine per “sicurezza” (paura del sistema-Italia) e per evasione fiscale: se l’Agenzia delle entrate “entra” pure a Chiasso e Zurigo, difficile a questo punto evadere con serenità. Chi riporta i soldi a casa, ci paga le tasse dovute (niente scudi ultra-favorevoli) ma si risparmia altre penalità. Ora o mai più, la Svizzera cessa di essere un paradiso fiscale. Dall’altra, dovrebbe finire quell’emorragia di soldi nascosti nel bagagliaio dell’auto o nella fodera del cappotto, trasportati oltreconfine alla Totò e Peppino. Ci aveva pensato inoltre la Banca centrale svizzera, sganciando il franco dall’euro, a rendere poco conveniente la fuga oltralpe dei capitali.
I soldi dei malavitosi troveranno altri paradisi fiscali, altri Stati-canaglia pronti ad accoglierli. Ma era fondamentale dissuadere il cumenda milanese – così come l’artista affermato o il manager in carriera, fioccano illustri esempi in questi giorni – a nascondere il “nero” tra gli gnomi svizzeri. Avere conti correnti nel Paese elvetico non è assolutamente un reato: chi vorrà approfittare della professionalità svizzera potrà continuare a farlo. Oggi, in totale trasparenza.