Un grande punto interrogativo composto da tante persone che camminano. E la scritta: “Il settimanale diocesano, questo sconosciuto…”. Si presenta così la copertina del libro scritto di recente da don Giorgio Zucchelli, direttore dal 1989 del “Nuovo Torrazzo”, settimanale della diocesi di Crema, e presidente dal 2005 al 2010 della Fisc (la Federazione cui fanno capo 190 settimanali cattolici). Edito dalla Lev (Libreria editrice vaticana), il volume si propone, tra l’altro, di “rompere il silenzio sulla bella realtà dei giornali delle Chiese italiane” in un momento di particolare crisi e difficoltà.
Don Zucchelli, il titolo non lascia spazio a dubbi o interpretazioni: “Il settimanale diocesano, questo sconosciuto…”
“Sconosciuto, perché nelle singole diocesi si ha coscienza del proprio giornale ma nessuno sa che ne esistono di analoghi nelle altre diocesi. Quindi, s’ignora la presenza di 190 testate che tirano circa 800mila copie a settimana. Sconosciuto, perché nei palazzi della politica e del potere s’ignora l’esistenza di una stampa così capillarmente diffusa. Sconosciuto, perché nei vari studi sulla stampa il settimanale diocesano non è mai stato studiato o citato. Sconosciuto, perché anche in ambito ecclesiale non si comprende l’anima vera del settimanale. Ecco, allora, le domande ricorrenti: cos’è il giornale diocesano? Cosa deve fare? Cosa deve essere?”.
Proviamo a dare risposta a queste domande. Quale servizio può svolgere il settimanale diocesano alla Chiesa locale e al territorio?
“Il servizio consiste nel diffondere opinioni pubbliche informate ai valori del Vangelo, che sono poi i valori umani. In che modo? Raccontando. Dunque, attraverso l’informazione. Il settimanale diventa giornale di evangelizzazione, perché diffonde questo modo di pensare. ‘La stampa cattolica – si legge nella Communio et Progressio (n.138) – sarà come uno specchio fedele del mondo, e nello stesso tempo un faro che lo illumini; sarà inoltre un luogo di incontro per un fecondo scambio di vedute’. Questa è la sintesi del servizio che può svolgere il settimanale sia alla Chiesa sia al territorio”.
In questo contesto, quale rapporto con gli altri media locali d’ispirazione cristiana?
“A livello locale, secondo me, bisogna andare sempre più verso un’integrazione dei vari media. I tempi attuali e le grandi innovazioni tecnologiche insegnano che ognuno non può più andare per la propria strada”.
E con gli altri media ecclesiali nazionali? Nel libro non mancano critiche e giudizi pungenti verso di loro…
“Più che critiche e giudizi pungenti nel volume ho voluto solo indicare alcune sollecitazioni. Non mi permetterei mai di offendere qualcuno, figuriamoci… Sono pienamente convinto della validità di ciascun mezzo di comunicazione. Per questo propongo di aprire un tavolo per creare un rapporto di collaborazione e d’integrazione per quanto possibile tra il settimanale diocesano e i media nazionali: Sir, Avvenire, Tv2000, Radio inBlu. Il futuro ci porta verso l’integrazione. C’è poco da fare. Dobbiamo anticipare il futuro e non esserne travolti”.
Guardando nello specifico del settimanale diocesano: questo può essere considerato luogo di valorizzazione di una vocazione laicale?
“Certamente! Se si vuole fare un’informazione che sia evangelizzazione, ci vuole gente preparata. Il settimanale è un luogo in cui esercitare un ministero vero e proprio. Si tratta di una vocazione. E questo vale ancor di più per il direttore laico di un giornale diocesano. Al riguardo, lancerei la proposta d’istituire una forma ministeriale. Trovo assurdo che chi ha una notevole influenza sull’opinione pubblica diocesana sia meno preparato allo scopo di quanto lo è un insegnante di religione, un catechista o un ministro dell’Eucaristia”.
Direttore dal 1989, quali sono le parole-chiave che l’hanno guidata in questi anni?
“Informazione, territorio, periferie, cultura locale, servizio… Queste sono le prime che mi vengono in mente. Ho sempre considerato il settimanale diocesano un giornale di servizio, attento ai valori del Vangelo, che si occupa di coloro di cui nessuno parla mai, fortemente attento al territorio non solo geografico, ma soprattutto umano”.
Come ha vissuto e sta vivendo lo sviluppo portato dalle nuove tecnologie?
“Le nuove tecnologie hanno creato un po’ di apprensione, ma anche tanto entusiasmo. È stata una sfida molto affascinante. A Crema siamo ormai sulla linea dell’informazione integrata: abbiamo il giornale, la radio e i vari siti diocesani tutti integrati. Vanno avanti tutti insieme, ciascuno favorendo l’altro”.
Quali prospettive intravvede per la professione? E, in particolare, per il giornalista del settimanale diocesano?
“Sgombro subito il campo: il web non prefigura la cancellazione del giornalista. Sicuramente la professione, in bene e in male, si sta trasformando. C’è grande fermento. Le prospettive sono tante. Tutte, però, hanno a che fare con la preparazione del giornalista. Chi fa questo mestiere, ha una missione da svolgere. La questione della competenza, dunque, è essenziale per un lavoro che incarna un carisma molto delicato”.