Il mondo dei social, come Facebook o Twitter, sta vivendo un momento del tutto particolare e che potrebbe diventare una sorta di metafora della nostra vita contemporanea. A leggere certi articoli di giornale o a seguire alcune campagne pubblicitarie, i social sembrano essere diventati la sentina di ogni male e di ogni peccato anche se sono in molti (moltissimi) ad usarli. Facebook, per esempio, ha raggiunto la quota record di più di un miliardo di users registrati, una popolazione virtuale superiore a quella della Cina. Nonostante la loro diffusione, però, almeno a parole tutti, ma proprio tutti, sembrano avere solo sentimenti negativi nei confronti di questo nuovo strumento di comunicazione e di condivisione della contemporaneità.
Fanno riflettere, a tal riguardo, le campagne di comunicazione di due grandi multinazionali come la Coca Cola e la Dove. Si tratta di due aziende che da anni stanno coltivando il terreno impervio del web 2.0. Molte loro campagne degli anni scorsi hanno dimostrato una profonda conoscenza del mezzo e delle sue dinamiche. Quest’anno, in occasione della notte degli Oscar, la società specializzata in cosmetici non aggressivi come la Dove ha lanciato un’applicazione che è in grado d’identificare i commenti negativi pubblicati su Twitter a proposito dell’aspetto estetico delle attrici che sfileranno sul “red carpet” e di trasformarli in consigli e commenti positivi. La campagna si chiama “#SpeakBeautiful” e prende spunto da un’analisi approfondita dei tweet che vengono pubblicati nel mondo intero. Secondo questo studio, sono le donne a scrivere i commenti più feroci e cattivi non solo sull’estetica di attrici e personaggi famosi ma anche sul proprio aspetto: ben quattro tweet su cinque.
Da alcuni anni la Dove sta gestendo una complessa campagna di comunicazione dedicata alla “Real Beauty”, la vera bellezza, per promuovere l’autostima fra le donne. Un video di questa campagna intitolato “Le donne sono più belle di quello che pensano” è stato il “commercial” più visto sul web nel 2013. Adesso, però, la Dove si è lanciata in una e vera propria crociata contro il linguaggio così crudo usato sui social. Con un nuovo video dedicato alla iniziativa “#SpeakBeautiful”, diffuso alla vigilia della notte degli Oscar, vogliono dimostrare il vero e proprio “effetto domino” che gli insulti sui social provocano nella vita delle persone. Nei cartelli del video raccontano che solo lo scorso anno sono state cinque milioni le donne che hanno pubblicato commenti negativi sulla bellezza e sul corpo. Dicono, però, che “basterebbe un solo commento positivo per far partire un trend diverso” e lo mettono in scena con una grande scenografia di un domino formato con centinaia di saponette che vanno a formare la scritta “#SpeakBeautiful”. Il claim finale è “Cambiamo il modo di parlare di bellezza sui social media”.
Queste iniziative, però, non piacciono alla parte più oscura del cosiddetto popolo della rete. Lo sanno bene alla Coca Cola. Un mese fa, durante il “Superbowl”, la finale televisiva del campionato di football, lanciarono una nuova campagna sui social intitolata “#MakeItHappy”. L’idea era quella di trasformare i messaggi negativi pubblicati su Twitter in immagini positive (un giochino realizzato in automatico da un software sponsorizzato dalla Coca Cola). La campagna però è stata subito “hackerata” dal titolare di un blog di tecnologia e, in pochi giorni, si è trasformata in una sorta di parodia dell’idea originale tanto da costringere la Coca Cola a sospendere ogni iniziativa. “Il messaggio #MakeItHappy è semplice: Internet è quello che noi facciamo – hanno detto i responsabili della Coca Cola -. Abbiamo sperato d’ispirare le persone a renderlo un posto più positivo. È un peccato che abbiano cercato di trasformare la campagna in qualcosa che non è. Il virus che induceva a odiare la campagna di #MakeItHappy è un perfetto esempio delle negatività pervasive che la Coca-Cola aveva voluto affrontare con questa campagna”.
Nel novero delle contraddizioni del mondo dei social, arriva oggi anche una nuova applicazione. Si chiama “Cloak” (Mantello) e permette di sapere dove sono i nostri “amici” al fine di evitare di incontrarli. Tutto il contrario dello spirito che aveva animato i primi pionieri di Facebook o Twitter.