l parroco non deve occuparsi solo delle anime: è l’amministratore della parrocchia e perciò responsabile dei suoi beni. Così pure il vescovo nei confronti della diocesi. “L’amministrazione dei beni immobili” è il tema, particolarmente sensibile, al quale è stato dedicato il convegno nazionale degli economi e dei direttori degli Uffici amministrativi diocesani, promosso dalla Cei (economato e amministrazione, Ufficio nazionale per i problemi giuridici, Osservatorio giuridico legislativo), che si è chiuso oggi (25 febbraio) a Salerno. “Il tema ha suscitato particolare interesse perché tocca da vicino la vita delle diocesi”, commenta don Bassiano Uggé, sottosegretario Cei, intervistato dal Sir al termine dei lavori, annunciando che “la riflessione proseguirà nel convegno del 2016”. Oltre 300 i partecipanti, convenuti “per un proficuo momento di formazione, confronto e scambio”.
Il parroco e il vescovo – è stato ricordato – sono gli unici responsabili legali della parrocchia e della diocesi. Una responsabilità che a volte comporta fatica. Don Uggè, come contemperare la vocazione spirituale e la cura delle anime con le incombenze di cura “temporale” dei beni ecclesiastici?
“Questo tema era già emerso nell’assemblea Cei dello scorso novembre ed è stato messo all’ordine del giorno del Consiglio permanente. È vero, si percepisce la sofferenza di preti costretti a seguire una gestione amministrativa faticosa. La riflessione è aperta. Da una parte, bisogna evitare che la gestione amministrativa porti a un affaticamento del ministero; d’altra parte, però, è necessario pure evitare il rischio di una delega totale, che potrebbe essere nociva oltre che inopportuna”.
Quale ruolo e quale responsabilità possono avere i laici?
“In ogni parrocchia è obbligatorio il Consiglio parrocchiale per gli affari economici (Cpae). Ha un carattere consultivo, che però va inteso in senso ecclesiale, di una dimensione comunionale, per far emergere l’orientamento prevalente. L’apporto del laicato è fondamentale e va sempre più valorizzato, soprattutto quando al suo interno vi sono persone qualificate per le loro competenze professionali”.
Il Papa richiama a una “mentalità cristiana” nel gestire i beni terreni. Come declinare la povertà evangelica e la “Chiesa povera” che desidera Papa Francesco nella cura degli immobili ecclesiastici?
“Innanzitutto è fondamentale rispettare le finalità per le quali la Chiesa può possedere beni, ovvero – come recita il Codice di diritto canonico al can. 1254 – ‘ordinare il culto divino, provvedere a un onesto sostentamento del clero e degli altri ministri, esercitare opere di apostolato sacro e carità, specialmente a servizio dei poveri”. Questo costringe la comunità cristiana a fare una continua valutazione pastorale, per verificare che i beni che possiede siano sempre strumentali rispetto ai fini. È bene evitare di possedere beni che, per quantità o dimensione, siano sproporzionati rispetto al reale bisogno. In secondo luogo, operare una corretta manutenzione, soprattutto se programmata, perché può evitare sprechi. Già curare l’esistente, anche a costo di fatiche e rinunce, è una forma di povertà”.
In questo periodo di crisi anche le comunità sono chiamate a stringere la cinghia…
“Sì, la crisi generale si riflette sulle comunità, che talora faticano a far fronte anche alle spese ordinarie. Ma proprio questa crisi potrebbe costringere a razionalizzare le spese pastorali. Di sicuro ci richiama a un’amministrazione ancora più oculata. Una Chiesa che dà l’impressione di spendere soldi senza sforzo dà una brutta testimonianza di sé”.
Durante il convegno è stata più volte richiamata la cautela nel concedere a terzi i beni immobili. Ma come è possibile bilanciare l’esigenza di tutelare i propri diritti – e magari un introito che serve per far fronte alle spese pastorali – con la carità verso chi ha bisogno, ad esempio di un tetto, ma non può concedere garanzie?
“Non dobbiamo mai dimenticare che la carità non è un uso improprio dei beni, ma è uno dei fini della Chiesa. E la Chiesa ha, al riguardo, una luminosa tradizione. La questione è complessa e va analizzata caso per caso, tenendo presente che la valutazione pastorale deve precedere e governare la valutazione economica”.
Sugli immobili riconducibili alla Chiesa c’è sempre la spada di Damocle della tassazione. È recente le notizia dell’aumento esponenziale della Tari, a Roma, per le scuole paritarie…
“La vicenda Ici-Imu ha messo in evidenza che la Chiesa non pretende un privilegio, ma solo che venga riconosciuto il carattere sociale di tante attività che essa svolge. Non vogliamo privilegi, ma neanche penalizzazioni. Fermo restando questo principio, chiediamo che si abbia uno sguardo concreto sulla realtà. Molte attività socialmente rilevanti promosse da enti ecclesiastici rischiano di chiudere a fronte di un incremento della tassazione per loro insostenibile. La conseguenza è un danno per l’intera società ben peggiore del presunto beneficio per le casse dell’ente locale”.