La cerimonia è avvenuta nel corso degli eventi legati al settantesimo anniversario dell’apertura dei cancelli di Auschwitz, lo scorso 27 gennaio, alla presenza del sindaco Enrico Piergallini e del presidente del consiglio comunale di Grottammare Alessandra Biocca
Con l’occasione, Maria, Giovanna e Gabriele ricordano la figura del padre. Un uomo ligio al dovere e rispettoso delle regole. Qualità che gli permisero di trascorrere quasi due anni di prigionia con la speranza e la forza di riuscire a tornare a casa.
Giovanni Bruni partì per la guerra nel settembre del 1942. Tornò a casa per una breve licenza di cinque giorni alla fine di gennaio 1943, in occasione della nascita della figlia Giovanna, e poi Anzio, Nettuno, Savona e Modena furono le sue tappe da soldato fino al maggio 1943, quando di rientro a casa, i tedeschi deviarono il percorso del treno verso Monaco di Baviera, dove fu imprigionato per 22 mesi. La liberazione avvenne i primi di luglio del 1945.
“Durante la prigionia lavorava in una fabbrica di bossoli per mitragliatrici – racconta la figlia Maria – I mesi invernali erano quelli più duri a trascorrere, tra il freddo e la fame. Per pasto mangiava patate bollite con le bucce, quando andava bene, altrimenti brodo, ma vicino alla prigione c’erano dei campi agricoli e per sopravvivere, col favore della notte, andava a cogliere i porri e li mangiava crudi. Ogni giorno a fine lavoro si guadagnava 3/4 sigarette e alla fine della guerra i tedeschi, prima di fuggire, lo pagarono pure. Un gesto che nostro padre rimarcava sempre. Al rientro portò con sé i soldi”.
Le figlie ricordano quei soldi tedeschi, con i quali giocavano, e la tazza di alluminio che durante la prigionia aveva usato per mangiare e che Giovanni continuò ad utilizzare per diverso tempo, in memoria di ciò che aveva passato, nella consapevolezza che se si era salvato probabilmente era stato grazie alla diligenza e alla correttezza del suo comportamento.