Di Luca Marcolivio da Zenit
Tre scenari di sofferenza, dove si alternano guerra, morte, rinascita, ricostruzione e speranza. È quanto hanno raccontato quattro vescovi, giunti ieri a Roma, in occasione del 38° convegno dei Vescovi “amici del Movimento dei Focolari”, in corso a Castelgandolfo fino a venerdì 6 marzo, sul tema Eucaristia, mistero di comunione.
Tutti e quattro i presuli sono nel gruppo dei sessanta ricevuti stamattina, in udienza da papa Francesco, poi, nel primo pomeriggio, hanno incontrato la stampa presso la Casa Bonus Pastor, dove hanno raccontato le loro difficili sfide pastorali.
Sia monsignor Shlemon Warduni, Ausiliare Patriarcale di Babilonia dei Caldei, che monsignor Nassar Samir, Arcivescovo di Damasco dei Maroniti, sono testimoni diretti della tragedia che si sta consumando in Iraq e in Siria.
Nella terra un tempo detta Mesopotamia, ha ricordato monsignor Samir, è il cristianesimo è arrivato “prima di San Paolo” – per l’esattezza con San Tommaso Apostolo – tanto è vero che, notoriamente, Damasco fu il luogo della conversione dell’Apostolo delle genti.
Diventati poi minoranza (oggi sono circa il 5% in Siria e meno del 2% in Iraq), i cristiani della “Mezzaluna fertile” hanno convissuto pacificamente con i musulmani per secoli, fino alla tragedia attuale, della quale, secondo monsignor Warduni, gran parte della responsabilità è addebitabile all’Europa e agli Stati Uniti, che invece di unirsi nel fronteggiare il pericolo, hanno continuato a vendere armi ai ribelli: “Abbiamo gridato ma loro dormivano… – ha detto con amarezza il presule iracheno -. Quando l’Europa non difende i diritti umani, ha ancora senso parlare di democrazia?”.
Già lo scorso agosto, intervenendo all’ultimo Meeting di Rimini, il presule aveva ammonito: “Se non smettono di vendere loro le armi e non mettete in guardia le nazioni che li aiutano, i terroristi verranno a bussare a Roma e voi diventerete musulmani”.
L’avanzata dell’Isis ha distrutto moschee, chiese, musei, biblioteche, tesori e manoscritti: “nemmeno Gengis Khan era arrivato a tanto”, ha commentato a tal proposito Warduni, tuttavia il punto più dolente è la volontà dei jihadisti di “sradicare il cristianesimo”.
In questo scenario apocalittico, tuttavia le comunità cristiane mediorientali vogliono dare un “messaggio d’amore, di pace e di speranza” e ai jihadisti dello Stato Islamico, stanno rivolgendo la loro preghiera perché “Dio apra le loro menti e dia loro la grazia di capire cosa stanno facendo e perché lo stanno facendo”.
L’incontro odierno con il Santo Padre è stato positivo: “Ha fatto tanto e noi lo ringraziamo sempre”, ha detto il vicario della chiesa caldea irachena, manifestando apprezzamento anche per la missione svolta in Iraq lo scorso agosto dal cardinale Ferdinando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli.
Importantissimo, ha aggiunto monsignor Warduni, è anche che il Papa stia pregando e chiedendo di pregare per la pace in tutto il Medio Oriente. Stamattina, al Santo Padre, l’ausiliario dei caldei ha riferito che i fedeli della sua diocesi, pregano per lui e lo aspettano in Iraq. Da parte sua, il Pontefice ha ribadito il suo desiderio di poter visitare il paese ma, al tempo stesso, ha raccomandato i vescovi mediorientali di essere vicini ai loro sacerdoti
L’Europa è rappresentata tra i vescovi amici dei Focolari, da monsignor Szyrokoradiuk Stanislav, vescovo di Kharkiv-Zaporizhia (Ucraina). Nella sua diocesi, ha spiegato il presule, i cattolici sono soltanto 16mila, tuttavia, negli ultimi 20 anni, il ripristino della libertà religiosa, ha favorito una rinascita della chiesa locale, dove “prima del comunismo non esisteva nessuna parrocchia cattolica”.
Nella sua diocesi, monsignor Stanislav può vantare ora “16 parrocchie, 55 sacerdoti e molte vocazioni”, oltre ad una “Caritas molto attiva”, orfanotrofi, strutture per anziani e un notevole impegno in ambito sociale.
Il Vescovo di Kharkiv-Zaporizhia sta dalla parte di chi vuole un’Ucraina indipendente e desiderosa di “camminare verso l’Europa”, mentre la Russia vuole riportare il paese al suo ‘Egitto’, continuando, secondo il presule, a praticare “metodi sovietici”, minacciando la “libertà di parola” e “questo è pericoloso per tutto il mondo”.
È infine intervenuto monsignor Pierre-André Dumas, vescovo di Anse-à-Veau-Miragoâne, ad Haiti, paese colpito dal terremoto nel gennaio 2010: in questo scenario di sofferenza, la chiesa locale si sta impegnando a “riportare la speranza” e aiutare nella ricostruzione.
I risultati non sono mancati: al momento del terremoto, nella diocesi haitiana, le parrocchie rimaste in piedi erano dodici, mentre adesso sono trenta. Anche in questo territorio, ha sottolineato monsignor Dumas, le vocazioni crescono e la Caritas è molto presente.
Ringraziando per la solidarietà e gli aiuti ricevuti da tutto il mondo in questi cinque anni, il presule haitiano ha osservato nel suo popolo lo sviluppo di “una capacità di resilienza, di coraggio e di forza che trovano linfa vitale nella fede, nella speranza e nella capacità di cogliere Dio negli eventi e nella storia”.
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