Fu profetico Benedetto XVI quando, visitando nel 2012 la casa “Viva gli anziani” gestita da Sant’Egidio, disse: “La qualità di una società, vorrei dire di una civiltà, si giudica anche da come gli anziani sono trattati e dal posto loro riservato nel vivere comune”.
Le stesse parole del Papa emerito sono risuonate oggi sulla bocca del suo successore Francesco che ha dedicato l’intera catechesi dell’Udienza generale di oggi in piazza San Pietro alla “problematica condizione attuale degli anziani”. Un tema caro al Pontefice tanto che – ha annunciato – vi dedicherà anche la catechesi di mercoledì prossimo, in un’ottica però “più positiva”, incentrata cioè “sulla vocazione contenuta in questa età della vita”.
Per affrontare il tema, Bergoglio oggi parte da un dato di fatto: “Grazie ai progressi della medicina la vita si è allungata: ma la società non si è ‘allargata’ alla vita!”. Il numero degli anziani, dice, “si è moltiplicato”, ma “le nostre società non si sono organizzate abbastanza per fare posto a loro”.
Colpa forse di quell’istinto giovanile per cui si tende a ignorare la vecchiaia “come se fosse una malattia da tenere lontana”, osserva il Papa. Quando però poi diventiamo anziani, “specialmente se siamo poveri, se siamo malati, se siamo soli, sperimentiamo le lacune di una società programmata sull’efficienza, che conseguentemente ignora gli anziani. E gli anziani sono una ricchezza, non si possono ignorare”.
È vero, dunque, quanto affermato da Ratzinger: “L’attenzione agli anziani fa la differenza di una civiltà”, rimarca Francesco, essa “andrà avanti perché sa rispettare la saggezza, la sapienza degli anziani”. Il problema è: “In una civiltà c’è attenzione all’anziano? C’è posto per l’anziano?”, si domanda il Santo Padre. E avverte quindi che “in una civiltà in cui non c’è posto per gli anziani, sono scartati, perché creano problemi, questa società porta con sé il virus della morte”.
È chiaro che questo rappresenti un grosso rischio, specie in Occidente dove – rimarca il Pontefice – “i figli diminuiscono, i vecchi aumentano”. Uno sbilanciamento che ci interpella e che rappresenta “una grande sfida” per la società contemporanea. Soprattutto perché si trova a fronteggiare contro “una cultura del profitto” che insinua l’idea dei “vecchi come un peso, una ‘zavorra’”. Essi “non solo non producono, ma sono un onere”. Quindi la sentenza è una: “Vanno scartati”.
“Non si osa dirlo apertamente, ma lo si fa!”, sottolinea il Papa, ed è questo l’aspetto più “vile” di questa “assuefazione” alla cultura dello scarto. “Ma noi siamo abituati a scartare gente”, osserva con rammarico, perché “vogliamo rimuovere la nostra accresciuta paura della debolezza e della vulnerabilità”. Così facendo, però, non si fa altro che aumentare negli anziani “l’angoscia di essere mal sopportati e abbandonati”. Ed “è brutto vedere gli anziani scartati, è cosa brutta, è peccato!”, dice Bergoglio.
Già durante il suo ministero a Buenos Aires ha avuto modo di toccare con mano la triste realtà degli anziani abbandonati, “e non solo nella precarietà materiale”: “Sono abbandonati nella egoistica incapacità di accettare i loro limiti che riflettono i nostri limiti – dice a braccio – nelle numerose difficoltà che oggi debbono superare per sopravvivere in una civiltà che non permette loro di partecipare, di dire la propria, né di essere referenti secondo il modello consumistico del ‘soltanto i giovani possono essere utili e possono godere’”.
Questi anziani “dovrebbero invece essere, per tutta la società, la riserva sapienziale del nostro popolo”, afferma il Papa. Poi, condivide ancora un ricordo a braccio: “Quando visitavo le case di riposo, parlavo con ognuno e tante volte ho sentito questo: ‘Ah, come sta lei? E i suoi figli? – Bene, bene -Quanti ne ha? – Tanti. – E vengono a visitarla? – Sì, sì, sempre, sì, vengono, vengono. – E quando sono venuti l’ultima volta?’. E così l’anziana, ne ricordo una specialmente, diceva: ‘Mah, per Natale’. Eravamo in agosto! Otto mesi senza essere visitati dai figli, otto mesi abbandonata! Questo si chiama peccato mortale, capito?”.
È un peccato mortale perché – spiega il Pontefice – viola la tradizione della Chiesa, dove “vi è un bagaglio di sapienza che ha sempre sostenuto una cultura di vicinanza agli anziani, una disposizione all’accompagnamento affettuoso e solidale in questa parte finale della vita”, come testimoniano alcune espressioni del Libro del Siracide.
La Chiesa allora “non può e non vuole conformarsi ad una mentalità di insofferenza, e tanto meno di indifferenza e di disprezzo, nei confronti della vecchiaia”, raccomanda Bergoglio. Esorta pertanto a “risvegliare il senso collettivo di gratitudine, di apprezzamento, di ospitalità, che facciano sentire l’anziano parte viva della sua comunità”.
Forse basterebbe ricordare che questi stessi anziani, disprezzati e bistrattati, non sono altro che “uomini e donne, padri e madri che sono stati prima di noi sulla nostra stessa strada, nella nostra stessa casa, nella nostra quotidiana battaglia per una vita degna. Sono uomini e donne dai quali abbiamo ricevuto molto”.
“L’anziano non è un alieno – evidenzia il Santo Padre -. L’anziano siamo noi: fra poco, fra molto, inevitabilmente comunque, anche se non ci pensiamo. E se noi non impariamo a trattare bene gli anziani, così ci tratteranno a noi”.
Un ultimo pensiero va infine a quegli anziani ancora più deboli, soli, magari segnati pure da una malattia; “alcuni dipendono da cure indispensabili e dall’attenzione degli altri”. Allora, “faremo per questo un passo indietro? Li abbandoneremo al loro destino?”, domanda provocatoriamente il Pontefice.
Conclude perciò con la chiarezza e la durezza di chi intravede un vero pericolo all’orizzonte: “Una società senza prossimità, dove la gratuità e l’affetto senza contropartita – anche fra estranei – vanno scomparendo, è una società perversa”, afferma. E ribadisce che “la Chiesa, fedele alla Parola di Dio, non può tollerare queste degenerazioni”. Perché “una comunità cristiana in cui prossimità e gratuità non fossero più considerate indispensabili, perderebbe con esse la sua anima”. Oltre al fatto che “dove non c’è onore per gli anziani, non c’è futuro per i giovani”.