Di Don Ulderico Ceroni
Dopo aver attraversato il deserto della prova ed essere saliti sul monte della trasfigurazione, il simbolo che emerge in questa III domenica di Quaresima è quello del tempio. Con il suo gesto profetico, Gesù dichiara ormai decaduta la funzione del Tempio di Gerusalemme, ridotto a un mercato più che a un luogo d’incontro tra Dio e il suo popolo. Così facendo presenta se stesso come il nuovo santuario, quello vero, dove ogni uomo ha accesso al Padre. Nel dialogo con la donna samaritana, affermerà che il nuovo culto è «in spirito e verità» (cfr. Gv 4,23), che ci fa gridare Abbà, Padre (cfr. Rm 8,15). Alla maniera dei profeti Gesù polemizza contro l’abuso del tempio, contro il «sacro mercato» che allora come oggi caratterizza i luoghi di culto più significativi nell’immaginario popolare – la potremmo considerare una costante della religiosità devozionale, popolare, magico-sacrale! Gerusalemme viveva anche del tempio, dei pellegrini che vi accorrevano per adempire alle disposizioni rituali o semplicemente andavano a visitarlo. Gesù sferza e non metaforicamente i venditori d’ogni specie e grida contro quelli che hanno trasformato la casa del Padre in un mercato (business economico). Ma va oltre, ovviamente, dando valenza altra allo stesso tempio. Quello di cui ora parla non è quello di pietra che Erode ha magnificamente edificato con un’operazione costruttiva durata quarantasei anni e che l’esercito di Tito distruggerà dalle fondamenta nel ’70 d.C. Il tempio ora è Gesù stesso. Il tempio è il suo corpo che, consegnato alla morte, ritornerà alla vita il terzo giorno.
LA DIMORA: L’ARCA, LA TENDA, IL TEMPIO. Dio stesso aveva manifestato a Mosè il desiderio di abitare in mezzo al popolo: «Essi mi faranno un santuario e io abiterò in mezzo a loro» (Es 25,8); per la costruzione di questo santuario è lui stesso che dà anche le più minute istruzioni (Es 25,10-22). Invierà il suo Spirito sugli artisti che lui stesso sceglierà perché eseguano alla perfezione il progetto da lui proposto (Es 31,1-11; 37,1-9). L’arca determinerà il luogo nel quale Dio dà convegno all’uomo e dove l’uomo, secondo il volere di Dio, gli renderà il culto (Es 25,22). Un recinto ne determinerà lo spazio e in questo saranno collocati secondo un ordine stabilito gli oggetti necessari alla sua celebrazione. Questa «dimora» sarà costruita nel modo che Dio ha mostrato a Mosè sul monte (Es 26,30). Sarà questo un santuario mobile, guida e difesa del popolo eletto così come fu, analogamente all’inizio, la nube oscura e luminosa. È dal trono portato dai cherubini, dal propiziatorio, che Dio parlerà a Mosè. Questo è il segno di unità del popolo, e al termine delle sue peregrinazioni e oscillazioni politiche, quando Dio stesso lo permetterà, si fermerà custodito nella cella più intima del tempio profetico della città santa di Gerusalemme posta sul monte. Pur avendo Dio accettato il tempio ebraico come segno della sua presenza, e in un certo senso come sua dimora, non vi si è però localizzato come avevano fatto gli dèi pagani nella cella dei loro templi. Il tempio ebraico non basta a tenere l’uomo in rapporto con Dio, e i profeti lo denunzieranno spesso. Isaia trasmetterà la parola del Signore che si sdegna perché il popolo crede di coprire con i sacrifici del tempio le proprie colpe: «Che m’importa dei vostri molti sacrifici? […] Non calpestate più i miei cortili per portarmi le vostre offerte vane […] le vostre mani sono piene di sangue» (Is 1,11ss).
LA PERSONA DI GESÙ È IL TEMPIO DOVE ABITA DIO: IN LUI SI PUÒ RENDERE IL VERO CULTO, NUOVO E SPIRITUALE. 2 Come ogni espressione religiosa, così anche la comunità cristiana ha bisogno di un luogo dove realizzare ritualmente il suo culto e, di conseguenza, che sia simbolo del suo incontro con Dio. La cella del tempio pagano è l’abitazione della divinità. Nel tempio ebraico Dio si rende presente per incontrare il fedele. Tale luogo non è il corrispettivo né del tempio ebraico né di quello pagano. Questi erano determinati e caratterizzati dalla presenza della divinità e, per tale presenza, erano considerati sacri e sacralizzanti. Il luogo di culto cristiano, invece, è identificato principalmente dall’azione, cioè dalla celebrazione del mistero. Qui Cristo è presente in forza della sua parola; i fedeli infatti si radunano nel suo nome poiché convocati a fare memoria di lui: «Fate questo in memoria di me» (Lc 22,19); «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18,20). Mentre nel tempio l’incontro dei fedeli è casuale, nel luogo di culto cristiano esso è costitutivo del tempio stesso, inteso questo come luogo della presenza divina; i singoli fedeli ne sono le pietre e lo Spirito è l’amalgama che le tiene unite. Il sostantivo che indicava l’azione del riunirsi dei cristiani, cioè ekklesía, è passato poi, ad indicare per metonimia anche il luogo stesso in cui la riunione si realizza. Per il cristiano non vi può essere un luogo materiale dell’abitazione di Dio, né, tanto meno, esso può essere tale da contenerlo.
Già Salomone, dopo avere costruito il tempio a YHWH, esclama: «Ma è proprio vero che Dio abita sulla terra? Ecco i cieli e i cieli dei cieli non possono contenerti, tanto meno questa casa che io ho costruita!» (1Re 8,27). E san Paolo dice agli ateniesi che «Dio non abita in templi costruiti dall’uomo» (At 17,24).
Il vero tempio in cui Dio avrebbe potuto abitare sarebbe stato il corpo che la Vergine Maria, per opera dello Spirito Santo, avrebbe offerto al Verbo di Dio, Gesù Cristo. Egli stesso lo afferma: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» (Mt 26,61); e l’evangelista Giovanni precisa: «Egli parlava del tempio del suo corpo» (Gv 2,21). San Paolo così scrive ai Colossesi: «È in Cristo che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, e voi partecipate della pienezza di lui, che è il capo di ogni Principato e di ogni Potenza» (Col 2,9-10). Per partecipazione, quindi in forza del battesimo, anche il corpo del cristiano diventa tempio di Dio: «Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo, che è in voi? Lo avete ricevuto da Dio e voi non appartenete a voi stessi» (1Cor 6,19); «In lui anche voi insieme con gli altri venite edificati per diventare dimora di Dio per mezzo dello Spirito» (Ef 2,22); «In lui anche voi venite edificati insieme per diventare abitazione di Dio per mezzo dello Spirito» (1Pt 2,5);
«Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi» (1Cor 3,16-17). Nell’unità dello Spirito Santo tutti i cristiani costituiscono il corpo di Cristo, cioè la Chiesa. Essa è il luogo di culto indicato da Gesù alla samaritana: «I veri adoratori adoreranno Dio in spirito e verità» (Gv 4,23). E nella liturgia il cristiano esprime la sua lode attraverso Cristo, con Cristo, e in Cristo a Dio Padre, nell’unità dello Spirito Santo, per sempre. Cristo dunque è il vero luogo di culto cristiano, capace di rendere perfetta la lode dell’uomo. Tuttavia l’uomo esprime le realtà spirituali anche servendosi della materialità del proprio corpo. Egli, per ubbidire al comando di Cristo, riunendosi con altri determina dei luoghi che, per l’azione ivi compiuta, diventano luoghi di culto.
PER UN’OFFERTA SECONDO GIUSTIZIA. Per cogliere la portata profonda dell’episodio evangelico bisogna porre attenzione a due testi profetici che Giovanni ha ben presenti nel tracciare il suo racconto: Malachia e Zaccaria (Ml 3,1-5 e Zc 14,20-21). Malachia parla di un personaggio misterioso che precederà l’avvento del Messia. Alcuni ritenevano che si trattasse di Elia (Ml 3,23), altri che fosse Gesù stesso (Mt 16,14). Gesù invece applica questa profezia al Battista (Mt 11,10). Ormai non c’è più nessuno da attendere: Gesù, il Kýrios, entra nel suo tempio e inaugura il vero culto, secondo giustizia. Quando Gesù giunge al tempio di Gerusalemme, questo non è più un luogo di comunione tra Dio e l’uomo, ma di commercio; nella casa di Dio ora c’è il mercato. Al posto di Dio si erge l’idolo del denaro. Con la profezia di Zaccaria si annuncia che nel giorno di YHWH non vi sarà più mercato nella domus Dei; nella casa di Dio non vi sarà più nemmeno un Cananeo, cioè nessun mercante. In questo duplice orizzonte possiamo cogliere il gesto profetico di Gesù, il quale «fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: “Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!”» (Gv 2,15-16). Se confrontiamo l’episodio con i Sinottici possiamo notare che solo Giovanni evidenzia che Gesù scaccia dal tempio, con i venditori, anche le vittime sacrificali (buoi, pecore e colombe): afferma così che è venuta meno l’economia dei sacrifici. Non servono più vittime animali: è lui la vera vittima, l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo.
LA REAZIONE DEI GIUDEI E DEI DISCEPOLI. II gesto di Gesù provoca due reazioni. La prima è quella dei discepoli, che dopo la Pasqua rileggeranno l’episodio alla luce del Salmo 68, preludio alla passione del Maestro; la seconda, quella dei Giu- 3 dei, i quali chiedono a Gesù con quale autorità (in nome di chi) ha compiuto quel gesto, ai loro occhi sacrilego. «I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: “Lo zelo per la tua casa mi divorerà”» (Gv 2,17). Come interpretare lo zelo di Gesù? Certamente il suo non è uno zelo fanatico né esaltato; lo zelo che divora Gesù è la sua dedizione al disegno del Padre fino al dono della vita. Ma non solo, egli desidera che ogni uomo abbia accesso a Dio non più attraverso offerte rituali di animali, ma in modo filiale. Gesù poi ribatte ai Giudei mediante il segno (shmei/on) del tempio: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» (Gv 2,19). Qui Gesù non parla di tempio (ierón) in senso stretto, ma di santuario (naós). Il tempio era tutta l’area sacra, mentre il santuario è il “Santo dei Santi”. Siamo davanti ad una grande rivelazione: Gesù è il nuovo tempio, ove si può incontrare Dio; il nuovo santuario che segna la fine dell’antico culto; in lui si può adorare “in spirito e verità” (cfr. Gv 4,24). Questa rivelazione è così incredibile che gli astanti fraintendono: essi pensano che Gesù intenda il tempio di pietra. Giovanni specifica subito che Gesù parlava del tempio del suo corpo. È lui, il datore dello Spirito, che manifesta la nostra verità di figli e quella di Dio come Padre. Ma Gesù andrà ancora oltre: non basta un nuovo tempio e un nuovo culto, ci vuole anche un nuovo sacerdozio.
È quanto possiamo cogliere nel gesto di Pietro, che volendo difendere il Maestro, quando vengono ad arrestarlo nell’orto degli ulivi, colpisce con la spada il servo del sommo sacerdote staccandogli l’orecchio destro (cfr. Gv 18,10).
Non è un caso che proprio l’orecchio destro venga reciso, e che Malco sia presentato come servo del sommo sacerdote.
Bisogna sapere infatti che nel rito di consacrazione del sommo sacerdote si prendeva il sangue di un ariete e si toccavano le varie parti del corpo del neoconsacrato, tra cui il lobo dell’orecchio destro (cfr. Es 29,19-20). Staccare l’orecchio del servo del sommo sacerdote equivale perciò a decretare la fine del sommo sacerdozio.
Al riguardo, già secondo il Testamento di Levi, la venuta del Messia avrebbe comportato un nuovo sacerdozio. Ma non è tutto. Quando Giovanni dirà che dal costato aperto di Gesù uscì sangue e acqua (cfr. Gv 19,33-34) ricorda che dal nuovo tempio, il corpo di Cristo, viene a noi la vita stessa di Dio. Gesù ha portato perciò una grande rivoluzione, cambiando radicalmente il significato del sacrificio, della religione e del sacerdozio. A differenza dei sacerdoti antichi, egli non ha offerto qualcosa di diverso da sé, ma se stesso. È vero che questo era ben presente nei profeti, ma Gesù ha portato fino in fondo questa esigenza. Di più: egli ha identificato il sacerdote con l’offerta. Al centro della religione Gesù pone perciò il gesto oblativo di un’autodonazione libera e gratuita.
San PAOLINO DA NOLA riassume tutto questo in una frase lapidaria. Parlando del Cristo afferma: «ipse victima sacerdotii sui, et sacerdos suæ hostiæ» (= «Egli stesso è la vittima del suo sacerdozio e il sacerdote della sua offerta»). Quest’offerta Gesù l’ha poi sacramentalizzata: è l’Eucaristia. Nell’ultima cena, egli ha fatto Eucaristia, si è fatto Eucaristia e ha posto nelle mani della Chiesa l’Eucaristia: «Fate questo in memoria di me». Celebrando l’Eucaristia, la Chiesa viene perciò edificata come Corpo di Cristo e allo stesso tempo impara a offrirsi a Dio. «La Pasqua di Cristo produce per sempre la lacerazione del velo, la distruzione del tempio dei riti personali, che i cristiani non dovranno più ricostruire. Il solo sacrificio gradito è il sacrificio spirituale, come lo chiamavano i cristiani di un tempo, che non ha bisogno né di templi né di altari, né di sacerdoti immolatori, e che la Chiesa celebra quando “offre se stessa per mezzo di lui” (sant’Agostino) … Questo non sminuisce il culto sacramentale; incessantemente dev’essere ripetuto il rito misterioso. Questa è la grandezza della liturgia cristiana: essa è celebrata dal Figlio di Dio all’apice escatologico della storia della salvezza, e da quelli che lasciano assumere in questa pienezza se stessi e la loro vita» (F.-X. DURRWELL, L’eucaristia sacramento del mistero pasquale, Teologia 32, Paoline, Alba 1982). I NUOVI SANTUARI. Se anticamente al cuore della po,lij c’era la cattedrale, centro di gravitazione religiosa e politica, oggigiorno, al centro della nostra frenetica e convulsa agitazione moderna, troviamo i centri commerciali, la Borsa e la Banca con il culto del libero mercato, con i suoi sacerdoti e le sue vittime. Sì, perché ogni culto ha le sue vittime. Certo, non si nota nessun spargimento di sangue (anche se non possiamo negare la crescita del disagio e dello smarrimento!), perché nei nuovi templi tutta l’operazione è condotta in modo indolore mediante la somministrazione di raffinati e seducenti narcotici, quali il consumismo, la moda, il divertimento, il culto maniacale del benessere fisico. Si pensi, al nuovo culto promosso dalle logiche del mondo, il quale, stando a una famosa e quanto mai attuale pagina di S. ILARIO DI POITIERS (IV secolo), «non ferisce più la schiena, ma accarezza il ventre; non confisca i beni, ma ci arricchisce per darci la morte; non ci spinge verso la libertà imprigionandoci, ma verso la schiavitù onorandoci; non colpisce i fianchi, ma prende possesso del cuore; non taglia la testa con la spada, ma uccide l’anima con il denaro». È in questo contesto culturale che il cristiano deve ricordare, attraverso la sua vita e le sue scelte il primato di Dio nel quale è riconosciuto anche il valore dell’uomo.