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Diocesi: “accogliere l’invito alla conversione non solo a livello personale ma come comunità cristiana”

Stazione Quaresimale (28)

 

Di Don Gianni Croci

DIOCESI – “La Quaresima è un tempo di rinnovamento per la Chiesa, le comunità e i singoli fedeli” (Papa Francesco, messaggio per la qu aresima 2015).
Si tratta di accogliere l’invito alla conversione non solo a livello personale ma come comunità cristiana, anche per quello che riguarda  la pastorale affinché diventi più missionaria, in uscita, ospitale, segnata dalla tenerezza e dalla misericordia.

Due sono anche i luoghi/guida fondamentali, come ricordava il Vescovo Carlo, all’inizio dell’anno pastorale: la Scrittura e la Tradizione/Magistero con particolare riferimento al Concilio Vaticano II e agli insegnamenti di Papa Francesco, per la nostra diocesi possiamo aggiungere anche il sinodo diocesano. E’ chiaro che non va dimenticata  una doppia fedeltà: al Vangelo e all’uomo di oggi, avendo il futuro negli occhi e il passato nel cuore.

Il metodo di lavoro poi richiede tre momenti: l’analisi critica della situazione, la presa di coscienza delle domande con l’elaborazione di criteri teologici nel contesto odierno e l’offerta di elementi per progettare percorsi senza sostituirsi all’azione dello Spirito Santo.
A tal proposito  è davvero necessaria una lettura libera e sincera della realtà tenendo conto che il futuro della chiesa lo si prepara adesso e che il Signore attraverso la storia ci indica le vie del rinnovamento.
Il dato che sembra subito emergere è la richiesta da più parti di un cambiamento vero, in tutti gli ambiti di vita, non solo nella politica, nel sociale, ma anche nella Chiesa.

Questo implica il coraggio di rompere uno schema ed entrare nelle questioni che l’uomo contemporaneo vive così da testimoniare e annunciare, dall’interno ed esplicitamente, Gesù Cristo, possibilità di un nuovo umanesimo, come afferma il titolo del prossimo Convegno di Firenze.

Un passaggio importante è senz’altro quello di  rivedere il linguaggio in cui tradurre il messaggio a partire dal rifacimento del vocabolario umano in quanto diventa sempre più faticoso, anche all’interno della Chiesa, dare lo stesso significato alle parole e di conseguenza intendersi.

Tra le parole da chiarire per comprendere il tempo in cui viviamo troviamo termini come secolarizzazione, individualizzazione, pluriformità, globalizzazione.

La secolarizzazione ad esempio porta a situare la religione in una diversa collocazione nella società, nei sistemi di significato e nell’orizzonte di senso della persone. Dice Bauman che oggi abbiamo a che fare con l’uomo dello shopping, un uomo rivolto soprattutto alla dimensione del mercato, che persegue una salvezza “bassa” cioè totalmente costruita con le proprie mani, attento alla conoscenza della realtà e del futuro (oroscopi, maghi…) e alla cura del proprio benessere fisico e mentale.

In questo modo il vivere nella società, sostiene sempre Bauman, é paragonabile a ciò che succede in un camping: ognuno arriva  con la propria roulotte, parcheggia, usufruisce dei mezzi offerti da contratto.
Il soggiorno é breve e ciò che si chiede é di non essere disturbati, di essere lasciati in pace.
In cambio di questo i campeggiatori non contestano l’autorità dei responsabili nè il prezzo. Nemmeno si pensa di sottoporre a critica il modo in cui é gestito il camping  eventualmente se qualcosa  non va  si chiede il rimborso e si riparte.
Tradotto in altre parole ognuno si fa i fatti propri, attento a non interferire con gli altri ma anche a non lasciarsi ‘violare’ da chi intende andare oltre coinvolgendo in progetti di trasformazione della realtà.

Questo porta ad una società frammentata in cui ciascuno vive nella propria casa, nella propria parrocchia, facendo il proprio lavoro, in intimità con i propri congiunti, in crisi di futuro, dentro una comunità che esclude più che includere.

Purtroppo spesso si ha l’impressione che tutto ciò si verifica anche nella comunità cristiana, nei rapporti tra le diverse realtà ecclesiali e la parrocchia o tra le parrocchie e la diocesi.

Anche la famiglia in questa società risulta come un insieme di individualità non legate da una minima progettualità condivisa, per cui le relazioni sono deboli, funzionali e se il tutto non funziona si cambia.
Non a caso papa Francesco ha voluto ben due sinodi sulla famiglia e in qualche modo il coinvolgimento di tutto il popolo di Dio in questa riflessione.

C’é poi tutta la questione della tecnica: l’uomo non é più il soggetto, ossia colui che determina le modalità  d’uso di strumenti e mezzi, e nemmeno riesce ad indicare lo scopo e il fine per cui tali strumenti e mezzi sono impiegati.

Questi piccoli accenni a grandi questioni fanno già intuire come l’odierna visione dell’uomo non è in sintonia con l’antropologia cristiana che afferma la centralità della creatura umana, fatta ad immagine e somiglianza di Dio e con una dignità incomparabile rivelata in Gesù Cristo.

Tali considerazioni  non dicono  che la strada da percorrere è l’essere ‘alternativi’ al mondo o  la necessità di contrapporsi ad esso, quanto l’importanza di cogliere le opportunità che il nostro tempo offre all’evangelizzazione.

Possiamo tentare di individuare alcuni tratti che sono un ottimo aggancio per avviare il confronto tra la cultura di oggi e la Chiesa.

Innanzitutto la valorizzazione del pluralismo che stimola la comunità cristiana a diventare luogo aperto, ospitale, dialogante senza sminuire per nulla la propria identità. E’ bella una Chiesa che diventa casa abitabile  per tutti, spazio dove ognuno può trovare ciò che è necessario per vivere: pane, affetto e possibilità di sentirsi casa.

Poi la rivalutazione delle relazioni che più di ogni altra cosa definisce l’uomo.
La proposta cristiana può inserirsi all’interno di rapporti  vissuti ‘a pelle’, rapidi, fugaci, virtuali, segnati dall’emozioni  più che dalla ragione, dall’immediatezza più che dalla mediazione, e promuovere una cultura dell’incontro, di relazioni inclusive ed autentiche.  La fede, come ogni vero umanesimo, richiede il sapersi relazionare con i fratelli e con Dio. Concretamente questo può significare che di fronte all’emozionalità, al sentimento, al bisogno di tenerezza, aspetti distintivi della post-modernità,  la comunità cristiana diventa più attenta alle tonalità affettive che la fede stessa porta con se e che la pastorale è  chiamata a riscoprire e valorizzare senza finire nel sentimentalismo o nel buonismo.

Infine l’utilizzazione delle nuove forme di comunicazione coscienti che  il mondo digitale non è solo tecnologia ma è formato da uomini e donne reali.
A questa gente che chiede  rispetto per la propria storia e giustamente fa fatica a prendere in considerazione annunci di verità connotati da astrattezza e autoritarismo, la Chiesa può proporre Gesù, il Dio che si fa carne, l’uomo vero, libero, incontrabile qui ed ora.

In questo momento di crisi profonda, come più volte è stato detto all’ultimo convegno della Chiesa marchigiana, l’importante è non chiudersi ma, sulla scia del Concilio Vaticano II, ritrovare il coraggio e la lungimiranza di guardare a questo nostro tempo come a un’opportunità, una grande occasione per un nuovo annuncio del Vangelo. Questo è il tempo favorevole direbbe l’apostolo Paolo in cui si può accogliere il dono della conversione ed operare per il cambiamento  piuttosto che aspettare che questo tempo cambi.