Fino a qualche tempo fa avremmo immaginato il terrorista-tipo come un uomo di mezza età, barbuto, abbigliato all’orientale, con il mitra in mano, un “signore della guerra” pronto ad abbattere aerei o a far saltare per aria una stazione del metro.
Lo sconcerto internazionale e una certa propaganda militarista seguita all’11 settembre 2001 avevano inneggiato allo “scontro di civiltà”… Il terrorismo aveva assunto lo status di “sfida globale”.
Oggi, ai tempi di Boko Haram e del Califfato, la situazione è resa, se possibile, ancor più drammatica: scopriamo che i terroristi possono avere il volto di una bambina kamikaze nigeriana di 10 anni che si fa saltare in aria imbottita di esplosivo per commettere una strage, oppure può trattarsi di un preadolescente convinto e costretto dall’Isis ad ammazzare a sangue freddo un coetaneo.
L’11 marzo è la Giornata europea della memoria delle vittime del terrorismo. Una data scelta per ricordare l’attacco avvenuto a Madrid nel 2004, che fece 191 morti e causò 1.800 feriti. Da allora nell’Ue gli attentati si sono moltiplicati: di lì a un anno arrivò quello di Londra (luglio 2005), con oltre 50 morti. E avanti, fino all’attacco al Museo ebraico di Bruxelles del 2014 e quello alla redazione del giornale satirico francese “Charlie Hebdo”, a Parigi, all’inizio di quest’anno.
Ma ogni Paese ha i “suoi” attentati da ricordare: alcuni legati alla mafia o al terrorismo politico, come in Italia, da piazza Fontana in poi; altri in relazione a fenomeni indipendentisti, dalle regioni basche in Spagna all’Irlanda del Nord. E poi la Germania, i Balcani, persino i – fino a ieri – tranquilli Paesi scandinavi.
Gli storici, la letteratura, il giornalismo hanno finora indagato le differenti “matrici” del terrorismo, da quella rivendicativa-sociale a quella politica fino a quella, più recente, pseudo-religiosa. La stessa storia dovrebbe però consegnarci almeno due punti fermi.
Anzitutto: la violenza non è mai giustificata e non esiste causa, anche legittimamente sostenibile, che consenta di trucidare una o più persone inermi. Il terrorismo non dichiara guerra, non combatte ad armi pari, è sempre vigliacco e spara alla schiena. In secondo luogo, le vittime del terrorismo sono tutte uguali: tutte vittime, tutte da piangere, il cui sangue dovrebbe mettere in moto una risposta corale, che non perde tempo a distinguere fra millantate ideologie o presunti “obiettivi” del terrorismo: una risposta ferma e decisa da parte delle istituzioni, delle forze dell’ordine, dell’opinione pubblica. È quello che la Giornata europea per le vittime del terrorismo potrebbe insegnare, dentro e fuori l’Europa.
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