Di Floriana Palestini
VILLAROSA – La parrocchia di S. Gabriele dell’Addolorata ha vissuto una giornata di ritiro per tutti gli operatori parrocchiali; i partecipanti hanno partecipato alla S. Messa delle ore 9:30 e preso parte ad alcuni laboratori. Durante l’omelia il vescovo Carlo ha riflettuto sul brano del Vangelo appena proclamato (Giovanni 2,13-25), soffermandosi sulla parola “abitare”, inteso come “rendere abitabile un luogo”: «Dobbiamo imparare che è difficile abitare, perché ci vogliono delle regole.
Noi abitiamo innanzitutto il nostro corpo e dobbiamo mantenere delle regole con noi stessi: se fa freddo e non mi copro, il mio corpo si lamenta e mi ammalo.
La parola di Dio ci dice che il nostro corpo è tempio di Dio, occorre quindi trattarlo bene.
Non solo abitiamo il nostro corpo, ma anche la nostra famiglia e la scuola: se vogliamo star bene in famiglia dobbiamo seguire anche qui delle regole precise. In famiglia impariamo a volerci bene tra noi: se ci si picchia non si sta bene. Gesù nel Vangelo va al tempio e trova un tempio non abitabile: c’è chi vende e chi grida e non si può pregare con tutto quel baccano. Nella prima lettura abbiamo sentito di Dio che dà i comandamenti: sono esattamente ciò che è necessario per abitare bene con Dio, tra di noi e con noi stessi. Quando rompiamo queste regole c’è la guerra: in famiglia, tra compagni, a scuola, nella società e anche nella chiesa. Il peccato è esattamente questo: quando rompo ciò che mi permette di costruire un buon rapporto, faccio la guerra con me stesso e fare la guerra con me stesso è fare la guerra con Dio, perché Egli vuole la nostra pace. La seconda lettura ci dice dove è la Sapienza: S. Paolo scrive che i Corinti chiedono i segni, chiedono la Sapienza; questi si ritenevano sapienti poiché possedevano la libertà di fare quello che volevano. Paolo li ammonisce dicendo loro di essere stolti: stolto è chi fa il proprio comodo e non tiene conto degli altri, di Dio, del proprio corpo. Paolo scrive ai Corinti che la Sapienza è quella di Gesù, che insegna esattamente la via giusta, per far sì che i rapporti tra noi siano buoni e non conflittuali. Inoltre, per stare bene con Dio, dobbiamo ricordare che Egli c’è: dobbiamo santificare le feste. Ascoltando l’insegnamento di Gesù imparo ad abitare bene in casa, a scuola, con me stesso. Ecco che dobbiamo ascoltare i comandamenti, ma quando non li seguiamo Gesù subito ci richiama e ci perdona. Teniamo a mente alcune domande, che tracciano la strada della felicità che il Signore ci insegna: come sto abitando la chiesa? Come sto abitando la mia famiglia? Come sto abitando il mio rapporto con Dio e il mio corpo?».
Al termine della S. Messa, gli operatori parrocchiali, il vescovo Carlo e il parroco, don Federico Pompei, si sono ritrovati nella salone.
Al centro della discussione, animata dal vescovo Carlo, tornano i Corinti: «I Corinti preferivano i personalismi (“io sono di Paolo, io sono di Pietro, io sono di Apollo”), cosa che succede anche oggi.
I Corinti erano troppo occupati a litigare per preoccuparsi invece di portare Gesù agli altri. Il problema è la capacità di superare le proprie idee a favore delle idee degli altri, idee che sono diverse dalle nostre, ma non per questo sbagliate.
Nella parrocchia ognuno ha un compito: chi si occupa dello sport, chi delle letture, chi del canto e così via. Ognuna di queste attività è importante, ma non è tutto.
Nella lettera ai Corinti Paolo afferma che ognuno di essi ostenta le proprie capacità e le impone sugli altri: tutti hanno dei doni, ma se nessuno li mette insieme, allora tutte quelle persone sono il corpo frammentato di Cristo.
Nel nostro contesto parrocchiale, dobbiamo compiere uno sforzo continuo per superare le divisioni e capire che insieme serviamo un Corpo Unico, superando gli individualismi. Insieme siamo come membra di un corpo: tutte le membra sono utili, persino il dito mignolo, senza il quale il nostro corpo è incompleto; così anche l’ultimo della parrocchia è importante quanto tutti gli altri, ai quali si deve però coordinare».
Il vescovo Carlo afferma inoltre che le divisioni sono opera del Maligno, il quale gode nell’insinuare il dubbio e nel vederci divisi. «Il nostro compito è superare le differenze attraverso l’abnegazione, il donarsi agli altri senza mettersi sul trono. Paolo parla anche della coscienza, riferendosi a quella dei Corinti. Va bene seguire la propria coscienza, ma è da vedere su quali basi essa poggia. La nostra coscienza deve fondarsi su quella di Gesù, che è morto per salvare qualcun altro: è la coscienza della carità. Come formare dunque la nostra coscienza cristiana?
Non solo partecipando alla Messa, poiché senza determinati gesti questo sforzo diventa nullo: la carità è la capacità di farsi carico degli altri, di mettersi al secondo posto e costruire insieme la comunità. Se riduciamo la carità al pane da dare al povero, e quando torno a casa pesto mia moglie, quella che ho fatto prima non è carità. In questo concetto c’entra anche il concetto di libertà: essere liberi non vuol dire poter fare quello che ci pare, poiché non tutto è lecito. Se uso la mia libertà per drogarmi, poi divento schiavo della droga, cado in un’altra prigione.
La libertà senza carità è distruzione; se non uso la libertà per costruire rapporti, diventa violenza».
Al termine dell’incontro con il vescovo Carlo gli operatori parrocchiali di Villarosa si sono divisi in gruppi e hanno analizzato il loro servizio in parrocchia sotto diversi aspetti: responsabilità, disponibilità, preparazione, per poi mettere tutto in comune in un’assemblea nel dopo pranzo.
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