Da Zenit di Salvatore Cernuzio
“Non esiste alcun peccato che Dio non possa perdonare! Nessuno!”. Lo ha detto tante volte Papa Bergoglio sin dai primi giorni di pontificato per consolare tutti quei fedeli allontanati o delusi da Dio. Oggi, invece, lo ribadisce come diktat per ogni sacerdote che amministri il Sacramento della Riconciliazione nel confessionale.
L’occasione è stata l’udienza ai partecipanti al Corso annuale sul Foro interno promosso dalla Penitenzieria Apostolica, guidata dal cardinale Mauro Piacenza. Parlando a Prelati, Officiali e Personale della Penitenzieria, i Collegi dei Penitenzieri ordinari e straordinari delle Basiliche Papali in Urbe, Bergoglio ricorda che“tra i Sacramenti, certamente quello della Riconciliazione rende presente con speciale efficacia il volto misericordioso di Dio: lo concretizza e lo manifesta continuamente, senza sosta”.
Ribadisce quindi che nessun peccato è più forte del perdono di Dio, eccetto “ciò che è sottratto alla divina misericordia”: quello “non può essere perdonato, come chi si sottrae al sole non può essere illuminato né riscaldato”. Alla luce di questo “meraviglioso dono” divino, il Pontefice sottolinea dunque tre esigenze: “vivere il Sacramento come mezzo per educare alla misericordia; lasciarsi educare da quanto celebriamo; custodire lo sguardo soprannaturale”.
In primo luogo, bisogna quindi “aiutare i nostri fratelli a fare esperienza di pace e di comprensione, umana e cristiana”. La Confessione pertanto “non deve essere una ‘tortura’”, rimarca il Papa, ma tutti “dovrebbero uscire dal confessionale con la felicità nel cuore, con il volto raggiante di speranza, anche se talvolta – lo sappiamo – bagnato dalle lacrime della conversione e della gioia che ne deriva”.
Sono bandite allora tutte quelle Confessioni che finiscono per essere “un pesante interrogatorio, fastidioso ed invadente”. Al contrario, evidenzia il Santo Padre, questo momento sacro “dev’essere un incontro liberante e ricco di umanità, attraverso il quale poter educare alla misericordia, che non esclude, anzi comprende anche il giusto impegno di riparare, per quanto possibile, il male commesso”.
Solo così il fedele “si sentirà invitato a confessarsi frequentemente, e imparerà a farlo nel migliore dei modi”, con una “delicatezza d’animo” che fa bene non solo al suo cuore ma “anche al cuore del confessore!”, assicura il Papa.
Certo, aggiunge a braccio, non bisogna confondere la “misericordia con l’essere confessore dalle maniche larghe”. “Pensate questo – spiega il Papa -: né confessore di maniche larghe, né confessore rigido sono misericordiosi. Nessuno dei due. Il primo, perché dice: ‘Ma vai avanti, questo non è peccato: vai, vai, vai!’. L’altro, perché dice: ‘No, la legge dice …’. Ma nessuno dei due si prende il penitente come fratello, lo prende per mano e lo accompagna nel suo percorso di conversione!. Invece, il misericordioso lo ascolta, lo perdona, ma lo prende e lo accompagna, perché la conversione sì, incomincia – forse – oggi, ma deve continuare con la perseveranza … Lo prende su di sé, come il Buon Pastore che va a cercare la pecora smarrita e la prende su di sé”.
L’invito per tutti i sacerdoti chiusi nei confessionali è allora quello di lasciarsi “educare” dal Sacramento della Riconciliazione. “Quante volte – osserva Francesco – ci capita di ascoltare confessioni che ci edificano! Fratelli e sorelle che vivono un’autentica comunione personale ed ecclesiale con il Signore e un amore sincero per i fratelli. Anime semplici, anime di poveri in spirito, che si abbandonano totalmente al Signore, che si fidano della Chiesa e, perciò, anche del confessore”.
A volte, soggiunge, si assiste addirittura “a veri e propri miracoli di conversione”, “persone che da mesi, a volte da anni sono sotto il dominio del peccato e che, come il figliol prodigo, ritornano in sé stesse e decidono di rialzarsi e ritornare alla casa del Padre, per implorarne il perdono”. “Com’è bello accogliere questi fratelli e sorelle pentiti con l’abbraccio benedicente del Padre misericordioso, che ci ama tanto e fa festa per ogni figlio che ritorna a Lui con tutto il cuore!”, esclama dunque il Vescovo di Roma. E “quanto possiamo imparare dalla conversione e dal pentimento dei nostri fratelli!”.
Alla luce di questo, ogni sacerdote dovrebbe porre allora qualche interrogativo alla sua coscienza: “Io amo così il Signore come questa vecchietta? Io sacerdote, che mi ha fatto ministro della sua misericordia, sono capace di avere la misericordia che ha il cuore di questo penitente? Io, confessore, sono disponibile al cambiamento, alla conversione, come questo penitente, del quale sono stato posto al servizio?”.
Ogni prete farebbe bene poi a “tenere sempre lo sguardo interiore rivolto al Cielo, al soprannaturale” quando ascolta le confessioni dei fedele. Ovvero “ravvivare la consapevolezza che nessuno è posto in tale ministero per proprio merito; né per le proprie competenze teologiche o giuridiche, né per il proprio tratto umano o psicologico”, bensì “per pura grazia di Dio”.
“Io a sentire questo peccato, quest’anima che si pente con tanto dolore o con tanta delicatezza d’animo, sono capace di vergognarmi dei miei peccati? E questa è una grazia”. Tutti – afferma Papa Francesco – “siamo stati costituiti ministri della riconciliazione per pura grazia di Dio, gratuitamente e per amore, anzi, proprio per misericordia”. Ed è questa certezza che “ci rende davvero umili, accoglienti e misericordiosi verso ogni fratello e sorella che chiede di confessarsi”.
Anche il modo di ascoltare l’accusa dei peccati dev’essere “soprannaturale”, rimarca, nel senso di “rispettoso della dignità e delle storia personale di ciascuno”. E la Chiesa, in quest’ottica, è chiamata ad “iniziare” sacerdoti, religiosi e laici “all’arte dell’accompagnamento”, perché “tutti imparino sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro”. Una terra da “coltivare” con “dedizione, cura e attenzione pastorale”.
In ultimo, il Pontefice esorta, soprattutto in questo tempo quaresimale, a dedicarsi all’ascolto delle Confessioni con generosità, “così che il popolo di Dio possa giungere purificato alla festa di Pasqua, che rappresenta la vittoria definitiva della Divina Misericordia su tutto il male del mondo”. Chiede quindi preghiere per sè stesso, soprattutto oggi che ricorre il 57° anniversario del suo ingresso nella vita religiosa. Non dimenticando che invece domani si celebra il suo secondo anno sul Soglio petrino.
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