Migliaia di anni di storia distrutti da bulldozer, da uomini armati non di kalashnikov ma di mazze e martelli pneumatici, un’azione devastatrice che ricorda l’uso barbaro di abbattere i simboli del nemico, mostrata al mondo attraverso video e immagini. Dall’Iraq alla Siria, dall’Egitto al Libano, in Cisgiordania, nella Striscia di Gaza, fino a Paesi africani come Nigeria, Niger, Libia, Algeria e Mali. Una furia distruttrice su scala internazionale portata avanti da gruppi di terroristi islamici, ma non solo, che hanno dichiarato guerra alla storia, causando un’ecatombe millenaria che accomuna opere e testimonianze che vanno dagli Assiri, ai Sumeri, passando per Ebrei, Romani, Bizantini, Egiziani, colpendo la stessa tradizione musulmana. Templi, moschee, chiese, libri, sepolcreti, mosaici, bassorilievi, immagini sacre: la colpa di questo patrimonio religioso, artistico e culturale? Quella di offendere l’Islam. “Attacchi premeditati, un incitamento alla violenza e all’odio” secondo Irina Bokova, direttrice generale dell’Unesco. “Non solo una tragedia culturale. Sussiste un problema di sicurezza che alimenta l’estremismo violento e il settarismo”. Parole dure suscitate dalla distruzione, alla fine di febbraio, delle opere d’arte conservate nel museo di Mosul da parte dello Stato islamico (Is). E poco importa se quanto accaduto nella città irachena, occupata dall’Is, è una palese violazione della risoluzione 2199 del Consiglio di sicurezza dell’Onu che condanna la distruzione del patrimonio culturale. L’impotenza dell’Unesco è evidente e non va oltre l’indignazione. Impossibile fare la conta delle distruzioni. La fatwa del califfo Abu Bakr al Baghdadi contro “i falsi idoli” non risparmia niente e nessuno. Salvo poi non rivenderne – pecunia non olet – pezzi al mercato nero dei reperti archeologici e finanziare così la scia di terrore e di sangue.
Iraq. L’ultimo sito, in ordine di tempo a farne le spese, è quello assiro di Hatra, nell’Iraq settentrionale. La sua distruzione giunge poco dopo quella di Nimrud, nei pressi di Mosul. Hatra, città fondata dalla dinastia seleucide nel II-III secolo a.C. era uno dei centri culturali ed economici dell’impero partico. Si stima che, nei mesi scorsi, a Mosul l’Is abbia distrutto decine di siti storici tra questi la tomba di Seth, venerato da ebrei, cristiani e musulmani come figlio di Adamo e Eva, la moschea e la tomba del profeta Giona, sacra a tutte e tre le fedi monoteiste, il mausoleo di san Giorgio, tentando anche di abbattere il minareto pendente (al-Hadba). Demoliti anche i santuari sunniti di Sheik Fathi e di Sultan Abdullah Bin Asim. Sempre a Mosul, dove dopo 1600 anni non si celebrano più messe, a fare le spese della furia iconoclasta del Califfo sono anche importanti siti cristiani. L’estate scorsa l’Is aveva rimosso la croce della cupola della chiesa siro ortodossa di sant’Efrem montando al suo posto megafoni per chiamare i musulmani alla preghiera. Secondo fonti locali la trasformazione di questa chiesa in moschea starebbe continuando. La struttura della facciata della chiesa, costituita da una croce alta sedici metri, sarebbe infatti stata nascosta da un lungo drappo nero. Sorte peggiore è stata riservata alla croce della facciata del monastero di san Giorgio trasformato in centro di detenzione. Altre chiese sono state chiuse, le statue dei santi fatte a pezzi. Demolite anche le moschee sciite, ritenute dallo Stato Islamico “meta di apostasia”. La vicina Piana di Ninive, con le città di origine assira di Assur, Khorsabad e Khalu, ha subito danni ingenti. E poi Tikrit, città natale di Saddam Hussein, dove l’Is ha raso al suolo la chiesa siro-ortodossa della Sacra Vergine, la “chiesa verde”, testimonianza del cristianesimo assiro del VII secolo, e il castello, dove nacque il Saladino.
Siria. Grave la situazione anche in Siria dove in cinque anni di guerra sono stati danneggiati centinaia di siti storici e archeologici. Particolarmente colpite sono le città di Aleppo, qui è stato abbattuto il minareto della moschea duecentesca degli Omayyadi, e di Palmira – come testimoniato dalle Nazioni Unite – ed anche quelle di Raqqa, roccaforte siriana dell’Is, e la stessa capitale Damasco. A dare il senso della gravità dei danni basterebbe ricordare che ben sei siti sono inseriti nel patrimonio mondiale dell’Unesco: la città vecchia di Aleppo, Bosra, Damasco, le città morte del nord della Siria, l’antico castello crociato Krak dei Cavalieri e Palmira, una delle mete turistiche più frequentate della Siria, prima del 2011. L’elenco della distruzione si allunga con i santuari di Maaloula, il monastero di santa Tecla, abitato da monache ortodosse, e il convento di San Sergio che ospita preti greco-cattolici. Luoghi di pace e di preghiera che il conflitto in corso non sta risparmiando. A Raqqa sono state incendiate le croci della chiesa greco-cattolica di Nostra Signora dell’Annunciazione, mentre un vessillo nero dell’Is sventola su quella armena cattolica dei martiri. La furia fondamentalista non conosce tregua e confini e continua a cancellare un grande patrimonio dell’umanità, mentre il mondo resta in silenzio.
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