“Con dolore, con molto dolore, ho appreso degli attentati terroristici di oggi contro due chiese nella città Lahore in Pakistan, che hanno provocato numerosi morti e feriti. Sono chiese cristiane. I cristiani sono perseguitati. I nostri fratelli versano il sangue soltanto perché sono cristiani”. Le parole scandite lentamente, quasi sillabando, perché, mai come stavolta, tutti capissero, perché il mondo capisse il dramma dei cristiani perseguitati nel mondo. Un dolore, quello di Francesco, quasi carnale e ben visibile dalle immagini televisive dell’Angelus di ieri in piazza san Pietro.
Era da poco giunta la notizia del duplice attentato suicida che poche ore prima aveva colpito la chiesa cattolica di San Giovanni e quella protestante, la “Chiesa di Cristo”, a Youhanabad, sobborgo interamente cristiano alla periferia di Lahore, facendo 15 morti e oltre 80 feriti. Un grido che si fa denuncia forte quando, proseguendo nel suo discorso, il Papa ha aggiunto: “Mentre assicuro la mia preghiera per le vittime e per le loro famiglie, chiedo al Signore, imploro dal Signore, fonte di ogni bene, il dono della pace e della concordia per quel Paese. Che questa persecuzione contro i cristiani, che il mondo cerca di nascondere, finisca e ci sia la pace”.
L’attacco di ieri non fa altro che allargare la mappa mondiale dell’odio e della persecuzione verso i cristiani. Ma questa volta il Papa ha detto qualcosa di più e in modo diretto: “Il mondo cerca di nascondere questa persecuzione”. Chiamando il problema con il suo nome Francesco ha puntato l’indice contro l’inazione della comunità internazionale verso questo dramma. E le cifre lo stanno a dimostrare: secondo le stime di diversi organismi internazionali il 70% delle vittime dell’odio religioso sono cristiani. Oggi è il tempo del lutto per la Chiesa in Pakistan che, per bocca dell’arcivescovo di Lahore, monsignor Sebastian Shaw, chiede maggiore impegno del Governo a protezione dei cristiani e misure efficaci per garantire la libertà di religione nel Paese.
Proteggere le minoranze dagli attacchi, difendere le comunità cristiane dalla violenza è compito innanzitutto della politica, non solo in Pakistan ma in ogni Paese. A riguardo suonano come un monito le parole di monsignor Silvano Tomasi, rappresentante della Santa Sede all’Onu di Ginevra. “Bisogna cercare di raggiungere un accordo politico senza violenza ma, se questo non è possibile, sarà necessario ricorrere alla forza”, altrimenti, è qui il riferimento è allo Stato islamico, “ci lamenteremo chiedendoci perché non abbiamo fatto nulla e consentito questa terribile tragedia”. “Fermare l’aggressore ingiusto è lecito”, aveva detto Papa Francesco tornando in aereo da Seoul, l’agosto scorso. Resta da chiedersi fino a quando si dovrà attendere.
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