Peccatori e peccati, un viaggio in confessionale. Con tanto di registratore. Clamoroso, si attesta da un lato, vergognoso si dice dall’altro. La verità, l’onestà e la responsabilità dove sono andate a finire? Le parole possono uccidere, afferma una campagna istituzionale che portiamo avanti da tempo a livello nazionale. Non tutto si può mettere in pagina e non tutto ciò che vorremmo realizzare si può attuare.
Prima di tutto ci vuole il rispetto per il prossimo. In questo caso parliamo dei preti e del sacramento della confessione. Abbiamo a che fare con una sfera dell’umano che deve restare racchiusa nel segreto. Lo sanno anche i bambini: al confessionale è consegnato il segreto e in quel segreto il peccatore viene toccato da Dio. Non è il prete che parla. Lui è solo un tramite della Misericordia divina della quale si va in cerca accostandosi a quel sacramento così intimo e prezioso.
Portare un registratore con sé, in un frangente così profondo e riservato, significa mettere in atto un gesto “inqualificabile” dal punto di vista umano, come l’ha definito il segretario della Cei, monsignor Nunzio Galantino. Quasi non riesco a trovare le parole adatte per esprimere quel che penso, ma so che fin da subito ho avvertito un moto di ribellione per questa inchiesta condotta in modo del tutto contrario all’etica professionale.
Non è questa la professione che siamo chiamati a mettere in campo ogni giorno. Non è rincorrendo lo scandalo che si alzano le vendite di un giornale. Non si può svendere l’anima al diavolo per trovare pezze d’appoggio alle tesi preconfezionate in redazione. Anche perché poi si viene smentiti. I titoli del Qn della scorsa settimana non rispecchiano minimamente le risposte fornite dai sacerdoti dietro la grata. Resta poi l’inganno con cui ci si è accostati al sacramento. Se il presupposto della confessione non è il sincero pentimento, siamo già a una falsa partenza.
Non mi addentro neppure nel mancato rispetto per la religione. Si aprirebbe un capitolo infinito. L’offesa per i credenti è enorme e chi non la capisce non sa quel che dice. Ma si voleva “comprendere, e poi raccontare, in termini assolutamente veritieri e inediti quanto il clero di base corrisponda alla sensibilità di papa Francesco”, così ha scritto il direttore Cangini giovedì 12 marzo sul suo giornale. Questa tesi è caduta del tutto, titoli a parte (ma purtroppo 9 lettori si fermano sui titoli e uno solo sull’intero articolo). Nonostante alcune forzature, prevalgono l’ascolto, la comprensione e l’accoglienza. Il resto del tentativo scandalistico mi pare rimanga confinato nel pessimo gusto che ha avuto il solo merito, come ricordato dal cardinale Carlo Caffarra, di creare sconcerto e procurare ferite.