Cosa si augura una “cattolica un po’ anomala”, come lei stessa si definisce, per il Giubileo della misericordia? Risponde Susanna Tamaro: “Mi auguro che abbia la capacità di attrarre le persone, vicine e lontane, e di convertire il loro cuore: la fede non è un abito da indossare o un piacere da fare a qualcuno, ma un cammino di conoscenza di sé per raggiungere la pienezza nel corso della vita. Senza questo cammino, la vita sarebbe monotona e deprimente”. L’angoscia, spiega la scrittrice a proposito dell’inedita scelta di Papa Francesco, deriva dall’incapacità dell’uomo contemporaneo di dare alla propria vita un orizzonte più ampio: “Siamo schiacciati dal presente e non pensiamo mai all’eternità, a quel respiro eterno che sta attorno ai nostri pensieri”.
Quale risonanza ha avuto su di lei l’annuncio del Papa di un Giubileo della misericordia?
“Una grande, splendida risonanza. Con estrema sensibilità, il Papa ha colto la necessità di riflettere su una qualità e un atteggiamento, la misericordia, di cui c’è un immenso bisogno, in un momento in cui l’umanità sta andando in una direzione così poco consona all’umano. Rimettere il cuore dell’uomo al centro dell’orizzonte è molto importante, perché qualunque forma di degrado deriva dal fatto di aver smarrito quanto sia essenziale questa centralità. La nostra società ci porta a essere tutti dotati esclusivamente di una – supposta – razionalità e di una genitalità: dominano la ragione e l’istinto, l’uso del corpo smodatamente istintivo, limitato alla sfera del sesso. Da una parte c’è la razionalità della scienza e della tecnica, dall’altra l’istintività del sesso, e così il cuore viene ‘bypassato’. Il degrado educativo, in tutte le sue forme che conosciamo, deriva proprio dall’aver dimenticato il cuore: non si educa più al cuore, ad esercitare la compassione, la misericordia e tutte quelle cose che rendono l’uomo più umano. Tutti abbiamo bisogno di misericordia: tutti, credenti o non credenti, possiamo offrire o ricevere misericordia, cioè possiamo partecipare al Giubileo in senso attivo o passivo. È lo stile di Francesco, che fin dall’inizio del suo pontificato ha scelto la misericordia come parola-chiave”.
Perché, a suo avviso, la misericordia è un messaggio così dirompente per l’uomo contemporaneo?
“Perché ci sembra che la tecnoscienza, con l’illusione che conferisce all’uomo di essere padrone di ogni cosa, risolva tutti i nostri problemi. Non siamo più abituati a interrogarci sulle dimensioni dell’essere, che hanno a che fare con parole come destino, senso, giudizio, responsabilità, cura nei confronti del mondo che ci circonda. In sintesi, sull’infinito: è questa apertura che l’uomo contemporaneo rifiuta, e ciò fa della nostra società, apparentemente aperta, una società chiusa, in cui si esercitano dei veri e propri ostracismi nei confronti dell’interiorità. I nostri ‘compagni di viaggio’ non sono più capaci di conoscere se stessi, ma un uomo che non conosce se stesso è destinato alla via della distruttività, perché non è in grado di comprendere le ragioni del suo agire, le sue origini e la sua destinazione. Tutto ciò è fonte di grande povertà: esiste la povertà materiale, che va combattuta con ogni mezzo, ma c’è una povertà più radicale. Se non faccio questo cammino, anche la povertà materiale non si risolve: bisogna anche convertire i ricchi, sennò chi paga i poveri?”.
Il primo passo che il Papa chiede alla Chiesa per il Giubileo è una “conversione spirituale”: è questo, per lei, anche lo spirito della riforma che sta portando avanti Francesco?
“Sicuramente. Il Papa sta abbattendo molte costruzioni non necessarie, solidamente presenti anche all’interno della Chiesa ma oggi non determinanti, perché producono un effetto frenante sulla diffusione del messaggio evangelico tra le persone. Molte persone sono lontane dalla Chiesa perché hanno un’idea sbagliata della Chiesa, magari legata a un’esperienza negativa dell’infanzia, o a un’adesione formale e non motivata. Nel momento, però, in cui c’è qualcuno capace di testimoniare le ragioni concrete della fede, allora lo sguardo cambia. Far arrivare a questo tipo di mutazione, come vuole fare il Papa, in tempi in cui le persone sono bombardate da messaggi contro l’umano, è molto importante”.
Riscoprire il senso del peccato, e la pratica di un sacramento come la confessione, cozza contro il relativismo dominante. Come far arrivare questo messaggio controcorrente, in primo luogo ai giovani?
“Viviamo in un’epoca il cui assioma è: ‘È bene ciò che mi piace’, anche per i bambini. Non c’è più un criterio comune, una ragione precisa, un’etica definita. A me piace dire ai ragazzi che il peccato è un mancato bersaglio, non una specie di multa per eccesso di velocità. Quest’ultima concezione è qualcosa da abbattere, perché fa male allo sviluppo della persona. Il peccato è un mancato bersaglio, non uno sgarbo che va sanzionato. E il bersaglio è la pienezza della propria vita: se non lo si raggiunge, si rimane poveri dentro”.