Di Paola Cesena
DIOCESI – La conversione pastorale, di cui tanto si parla nella Chiesa, richiede innanzitutto la lettura dei segni dei tempi, come già invitava a fare il Beato Giovanni XXXIII, e l’interpretazione alla luce del Vangelo (cfr. GS 4).
Possono essere motivo di riflessioni alcuni appunti a partire dal testo di Giovanni Villata “La cultura dell’incontro” ed. EDB.
Proviamo a guardare la vita della chiesa italiana, ci accorgiamo che si presenta come una realtà molto complessa, con un ampio e diversificato panorama di modelli e stili pastorali, caratterizzati a volte da forti spinte verso il futuro, altre volte da molta nostalgia verso il passato.
Anche nella nostra chiesa diocesana si coglie la difficoltà di risolvere in unità la pluralità delle scelte pastorali.
Nelle molte iniziative legate alla cosiddetta pastorale ordinaria (la liturgia, la preghiera, la carità) e nell’impegno, dopo il convegno di Verona, di portare il Vangelo in ogni ambito di vita, si intravvede una chiesa che procede, seppure a volte con fatica, nel cammino post conciliare, in ricerca di un equilibrio tra il convenire e l’andare, tra l’evangelizzazione e la promozione umana, tra la formazione e la missione.
Non manca una presenza efficace nel sociale, attraverso l’impegno della Caritas, degli oratori, delle diverse associazioni culturali, così che risulta sostanzioso il contributo offerto alla comunità civile.
Ci sono senz’altro segni di vitalità ed opportunità di crescita che vanno valorizzati, basta pensare alla richiesta del battesimo da parte di adulti o dei cosiddetti ‘ricomincianti’ , ai laici impegnati in percorsi di formazione catechetica e teologica, alla valorizzazione della ministerialità, allo sviluppo nel dopo Concilio dei movimenti e delle associazioni ecclesiali, al crescente bisogno di spiritualità, all’impegno nel mondo dei nuovi linguaggi comunicativi, all’attenzione alle persone e famiglie in difficoltà per l’attuale congiuntura economica e sociale.
Non si possono però dimenticare difficoltà e situazioni di sofferenza come la diminuzione dei praticanti, il distacco della gioventù dalla chiesa, la diminuzione delle vocazioni sacerdotali e religiose, l’invecchiamento delle comunità.
Non si può tacere anche una certa fatica ad assimilare il modello ecclesiologico conciliare e una certa disattenzione al laicato che hanno portato la chiesa a giocare più in difesa che in attacco, per dirla in termini calciatici, puntando più su leader che sul gioco di squadra, facendosi tentare dall’ autoreferenzialità piuttosto che aprirsi alla missionarietà.
Si sta verificando anche all’interno della Chiesa il fenomeno tipico delle società di trapasso culturale: da una parte ci si accorge che i modelli pastorali utilizzati sono desueti, dall’altra non ci sono ancora modelli nuovi e consolidati. Quasi tutti, almeno a parole, riconoscono la necessità del cambiamento e l’esistenza di alcuni nodi, ma in pratica mancano indicazioni di possibili percorsi e soluzioni credibili.
Pensando al futuro si possono individuare due questioni importanti da affrontare per l’attuale pastorale e cioè il recupero della sinodalità per attivare sinergie su obiettivi condivisi finalizzati ad una programmazione e la valorizzazione del laicato.
È innegabile la difficoltà diffusa nelle nostre parrocchie di pensare e attuare una pastorale integrata o d’insieme che privilegia la cooperazione tra ministri ordinati e laici, tra persone singoli e appartenenti a gruppi, tra associazioni e movimenti all’interno della comunità, tra parrocchie vicine, tra parrocchie e diocesi.
La prassi consolidata consiste nel realizzare ogni tanto qualcosa insieme, ma tutto questo non basta per superare la cultura individualista della post- modernità e per rispondere alle esigenze del popolo di Dio in questo tempo di cambiamento.
La difficoltà a far maturare la cooperazione a volte la si riscontra non solo nei presbiteri ma anche nei laici e si manifesta in alcuni casi nel mancato o limitato funzionamento degli organismi ecclesiali, quali il il consiglio pastorale parrocchiale e quello per gli affari economici.
Così facendo si può arrivare a confondere la comunità parrocchiale con i collaboratori del prete e il popolo di Dio con gli operatori pastorali oltre a pensare ai laici ancora come a semplici collaboratori piuttosto che a persone chiamate nella Chiesa all’esercizio della corresponsabilità. È davvero necessario valorizzare maggiormente il laicato dando più attenzione ai problemi della vita quotidiana dei laici, non invadendo scenari che ben si addicono loro, come la politica, l’impegno nel sociale, e promuovendo la formazione perché non si riduca tutto a servizi spesso svolti con un eccesso di protagonismo .
A questo punto si può tracciare qualche ipotesi di sintesi verso l’acquisizione di stimoli per un eventuale cambio della prassi pastorale.
Il tempo della cristianità è concluso e si é imposta una nuova mentalità che in molti definiscono post-moderna. Siamo di fronte ad un passaggio storico. La chiesa oggi non può più confidare su due pilastri storici che hanno sostenuto fortemente la diffusione della fede in epoca di cristianità : la famiglia, determinante soprattutto nell’iniziazione cristiana e la parrocchia. sostenuta da una gerarchia ecclesiale forte nel segnare la condotta morale dei credenti.
È cambiato anche il rapporto tra soggetti e dimensione religiosa trascendente non più considerata come il perno della vita. Si parla di un indiscriminato ritorno di Dio, del sacro, della religione, quasi una rivincita contro la secolarizzazione che fa pensare all’avvento della società “post-laicista”, ma a tal proposito scrive il card. Kasper : “Occorre prudenza. Il ritorno della religione é un processo ambivalente. Non si riduce senz’altro alla fede del Dio cristiano e non torna automaticamente a riempire i banchi vuoti delle chiese. Spesso conduce a una religione vaga, fluttuante, una religiosità basata sul gusto individuale e su un fai-da-te sincretistico. Questa religiosità piuttosto caotica si rivolge al mito, allo spiritismo e all’occultismo, persino al satanismo e finisce in un “ateismo di stampo religioso” ( J.B. Metz). Tutto questo induce a chiedersi: sta tornando veramente Dio o stanno tornando, in realtà, gli dei o gli idoli? Non si tratta forse semplicemente di un narcisistico innamoramento di se stessi, che cerca il divino in noi, ma non Dio al di sopra di noi?
Già Nietzsche aveva parlato di un “crepuscolo degli dei” (Tornare al primo annuncio, in il Regno- Documenti 54 (2009z) 11, 339).
In conclusione la pastorale della Chiesa italiana é stimolata ad essere particolarmente attenta a quattro realtà che si stanno rinnovando oggi su piani e con traiettorie diverse: la fede, la famiglia, la libertà e le relazioni.
La questione delle questioni é quella della relazione con Dio, con la trascendenza e, quindi – in ultima analisi- dell’acquisizione di senso alla vita che generi speranza vera.
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Ho letto... é un inizio, Finalmente si cominciano ad ammettere fallimenti e difficoltà , ma la strada é lunga. Credo che la cosa che manca alla nostra Diocesi sia il coraggio. Il coraggio di essere se stessi, il coraggio di esprimersi senza timore di essere considerati schegge impazzite o di essere "allontanati" dal gruppo che conduce i giochi. Il coraggio di sperimentare, di trovare nuove vie, il coraggio di fare...
Presbiteri e laici impauriti e calcolatori ...non vanno da nessuna parte.Voler sempre controllare tutto, pensare di essere gli unici capaci di fare questo o quello, avere sempre paura dell'errore, significa non avere fiducia nell'opera di Dio. Lo Spirito é fonte di questo coraggio.
Manca l'entusiasmo di chi é innamorato, mancano le caratteristiche principali di una autentica comunità cristiana. Che fare? Io un' idea ce l' avrei... tagliare i rami secchi che appesantiscono e non lasciano respirare a pieni polmoni la ns diocesi.
Ah, scusate la mia schiettezza ma credo che nn si possa far parte di nessuna comunità (parrocchia associazione diocesi) senza essere sinceri fino infondo.
Buona giornata