È il giorno della compassione e del cordoglio per la piccola Chiesa cattolica tunisina quello di oggi. La strage di ieri al Bardo, rivendicata da una cellula terrorista dello Stato islamico, ha provocato sconcerto e dolore anche nella comunità dei fedeli della capitale Tunisi, circa 30mila, tutti stranieri di oltre 50 nazionalità, lavoratori, studenti, imprenditori. Lo racconta al telefono monsignor Ilario Antoniazzi, dal febbraio del 2013, arcivescovo di Tunisi, dopo una vita trascorsa come parroco nelle parrocchie del Patriarcato Latino di Gerusalemme. “Siamo vicini al popolo tunisino e partecipiamo, come Chiesa, alla sua sofferenza. Abbiamo inviato una lettera al presidente della Repubblica di Tunisia in cui esprimiamo cordoglio e vicinanza. Anche noi ci sentiamo coinvolti in tutto ciò che è successo”. Una vicinanza che si fa concreta con la visita, probabilmente già stasera, ai feriti ricoverati negli ospedali anche se, dice, “è piuttosto complicato, poiché le misure di sicurezza sono al massimo e ci sono militari dappertutto. Vedremo se sarà possibile entrare. Porteremo la vicinanza e l’affetto del Santo Padre”. Papa Francesco, infatti, ha fatto recapitare allo stesso arcivescovo un telegramma in cui ribadisce la sua “ferma condanna di ogni atto contro la pace e la sacralità della vita umana” e “si unisce con la preghiera al dolore delle famiglie” delle vittime e “a tutte le persone colpite da questo dramma, così come all’intero popolo tunisino”.
Le immagini dell’attacco di ieri, il terrore nel volto dei turisti presi in ostaggio o che tentavano di fuggire, diffuse in tempo reale dai media e dai social network, sono ben chiare, impresse anche nella mente dell’arcivescovo che parla adesso di “risveglio brusco” a una dura realtà che forse in troppi, soprattutto nelle istituzioni, avevano pensato più rassicurante. “Il mestiere del Governo – dichiara monsignor Antoniazzi – è quello di controllare che tutto vada bene e tranquillizzare il popolo. Quest’ultimo, però, viveva con il tremore. Ogni giornata che terminava senza alcun problema diceva ‘oggi è andata bene ma domani cosa succederà?’”. Illusioni svanite davanti ai colpi sparati da un gruppo di terroristi, solo cinque dei tremila jihadisti tunisini che combattono all’estero al fianco dello Stato Islamico. “Se questi dovessero rientrare un poco alla volta – e qualcuno lo ha già fatto come si è visto – allora – dichiara preoccupato il presule -, c’è da temere anche perché il Governo non potrà controllarli tutti. Abbiamo visto ciò che è accaduto in Francia, lo abbiamo visto qui ieri, non ce ne vogliono tanti per gettare un Paese nel panico”.
Il risveglio è stato brusco, doloroso, però “la speranza rimane” come scrivono in un messaggio anche imissionari d’Africa (Padri Bianchi), presenti nella capitale. “La violenza è stata inaudita. Le vittime tante, troppe. Lo sfregio alla pacifica convivenza civile è stato evidente. Però la reazione dimostrata da questo piccolo Paese mediterraneo è ben augurante”. La Tunisia, d’altronde, è stata l’unica nazione a imboccare con determinazione la strada della democrazia. “Il percorso – si legge nel testo – non è stato tutto rose e fiori. Ci sono stati tentennamenti, arretramenti, perplessità, tentativi di imboccare la facile strada di un islamismo rigido e ottuso. Ma le componenti sane e vitali della società tunisina hanno reagito in modo serio e determinato. Si sono coalizzate, hanno approvato una Costituzione laica, hanno indetto libere elezioni”. “È vero – concorda Antoniazzi – quello tunisino è un popolo di cultura, che rifiuta la violenza. Oggi i tunisini soffrono due volte: innanzitutto per i turisti uccisi e feriti. I tunisini sono fieri della loro apertura, il loro Paese è uno dei pochi del Nord Africa dove si può entrare senza visto, per gli italiani basta solo la carta d’identità, sono contenti di ricevere turisti che amano il loro Paese. E poi soffrono per il fatto che a provocare questo dolore sono stati dei loro connazionali. Questo fa onore ai tunisini che sono persone pacifiche. Purtroppo ci sono tra loro schegge impazzite che spargono sangue e morte. Molti stranieri che sono qui adesso vorranno partire, penseranno che la Tunisia sia finita, ma non è così. La speranza resta salda e forte”.
“Un attentato terroristico che non deve cancellare i progressi della Tunisia compiuti dalla sua primavera araba anche se quanto sta accadendo potrebbe indurre a pensare il contrario”, è l’ammonimento di monsignor Thomas Yeh Sheng-nan, nunzio apostolico in Algeria e Tunisia, che pure non nasconde i problemi anche a livello regionale. “Qui nel Magreb la situazione è complicata. È noto, infatti, che solo dalla Tunisia siano partiti in tremila per combattere al fianco dello Stato islamico. Adesso, con la crisi libica, stiamo assistendo ad un deterioramento del quadro complessivo” dice il nunzio. A far ben sperare per il futuro della Tunisia sono allora le manifestazioni di tanta gente comune contro il terrorismo. Fanno ben sperare anche le parole di Rachid Ghanouchi, leader del partito islamico legato alla Fratellanza musulmana: “I terroristi hanno approfittato della libertà del nostro Paese per portare questi violenti attacchi contro di noi. Ma questa piccola banda di briganti, questi mercenari non spezzeranno la volontà del nostro popolo”. La Tunisia può ripartire da queste parole.