Fermarsi a riflettere seriamente sul tema educativo è sempre una sfida. Nei casi migliori si rischia quantomeno di finire per parlarsi addosso tra i soliti addetti ai lavori. Altre volte, invece, il confronto si riduce alla condivisione dello sfogo per le molte fatiche e gli scarsi “risultati”. Diverso è l’esito quando l’attenzione per i risvolti immediati e pratici dell’agire educativo non è la prima e la più importante preoccupazione. D’altra parte, Gesù stesso non era assillato per i risultati o per l’efficacia dei suoi discorsi, quanto piuttosto di essere fedele testimone dell’autentico volto di Dio, capace di uno sguardo di benevolenza sovrabbondante sulla realtà umana. In questo senso, le parabole evangeliche ben rappresentano lo stile educativo di Gesù e la sua pedagogia sempre promovente, anche a costo della rottura degli schemi del bon-ton e dei vecchi legami, perché se è vero che l’invito alle nozze del Regno è allargato a tutti, è anche vero che c’è un olio non travasabile da una lampada all’altra. Lasciandosi accompagnare ed introdurre in questo sguardo più “sapienziale” anche chi si occupa “professionalmente” di educazione è invitato ad abbandonare la trincea dell’emergenza educativa per tornare a confrontarsi e a parlare di educazione con maggiore serenità e fiducia. Vista da quest’ottica, l’incontro con Giovanni Grandi nell’ambito della giornata formativa per educatori ed insegnanti del Seminario vescovile di Treviso è stata certamente un’occasione stimolante per tornare ancora una volta a fare il punto sul cantiere educativo.
L’educazione come racconto. Riprendendo ampiamente la lezione spirituale della tradizione cristiana più antica, Grandi, ricercatore di filosofia morale e docente di antropologia applicata presso l’Università degli Studi di Padova, ha offerto un’intrigante tentativo di rilettura “antropologica” delle tre parabole evangeliche del capitolo 25 di Matteo, interpretandole come icone dei principali dinamismi umani: la fiducia e la paura, lo slancio e la delusione, l’attenzione e la vigilanza interiore e molti altri. Sebbene soltanto accennata, da questa rilettura emerge un approccio all’educare più consapevole e più rispettoso delle dinamiche umane che investono direttamente anche la relazione educativa. Come ha recentemente osservato P. Sequeri, la strategia del discorso parabolico di Gesù non consiste nel semplificare pedagogicamente dei concetti attraverso le immagini, ma nel custodire una rivelazione che supera per eccesso la misura umana delle cose. Così il comportamento del misterioso padrone della parabola dei talenti appare ingiustificabile se considerato solo nella logica umana della distribuzione razionale delle risorse. Ma se la posta in gioco è fidarsi di una promessa, i calcoli possono tradire.
Lo stile dell’educatore. Senza la gratuità del dono (il principio eucaristico che ispira la parabola dei talenti) e il respiro della fiducia non c’è progetto o regolamento che tenga. Come nel racconto della parabola dei talenti emerge una dinamica di fiducia e una di paura, così avviene nella relazione educativa. Ad immagine del misterioso padrone che invita a partecipare alla sua gioia, l’educatore è chiamato a presentarsi anzitutto come un moltiplicatore e un dispensatore di fiducia: ricevere e dare fiducia è essenziale nella pratica educativa, insieme con la capacità di offrire una lettura attenta del vissuto personale. Altro grande pilastro della pratica educativa è l’autenticità. Se l’educazione è in crisi da tempo e fatica a trovare nuove strade per rialzarsi, uno dei motivi è la difficoltà da parte dei ragazzi e dei giovani ad individuare figure di adulti credibili, autentici. Chiunque abbia a cuore la relazione educativa cerca anzitutto di impostare il colloquio all’insegna della sincerità. Attraverso queste ed altre suggestive pennellate, Grandi, che ha recentemente lanciato su Twitter l’hashtag #auleaperte per favorire il confronto con gli studenti universitari utilizzando la piattaforma digitale, ha presentato l’educazione come racconto capace di tratteggiare le dimensioni fondamentali del vivere. Come ricorda papa Francesco nel n. 134 di Evangelii Gaudium, chi si impegna nell’educazione ha il compito di “coniugare il compito educativo con l’annuncio esplicito del Vangelo”. Dunque un matrimonio che s’ha da fare. Anche ai tempi di Twitter.
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