La dignità delle donne non passa attraverso l’indifferenziazione sessuale. È questo il messaggio che oltre 130 Ong provenienti da 40 Paesi del mondo hanno rivolto alle istituzioni europee e alle Nazioni Unite nei giorni scorsi. Lo hanno fatto attraverso una dichiarazione denominata “Women of the world”, promossa dalle associazioni Profesionales por la Ética, Femina Europa e Woman Attitude e sostenuta da circa 17mila firmatarie.
Il documento non consiste nella solita enumerazione di diritti da rivendicare per raggiungere la meta chimerica di un’omologazione tra i sessi né soltanto in una denuncia del ruolo marginale della donna nella società. “Women of the world”, piuttosto, è un manifesto – unico nel suo genere – in cui si dà risalto al ruolo della donna all’interno della famiglia, come mamma, casalinga ed insostituibile educatrice della prole.
La dichiarazione si snoda su cinque punti, redatti in una prima bozza dall’associazione spagnola Profesionales por la Ética in accordo con la francese Femina Europea e la belga Woman Attitude. Il lavoro ha visto la partecipazione, inoltre, dell’istituto italiano per gli Studi Superiori della Donna.
Uno dei passaggi che più entra nel cuore dei diritti calpestati delle donne di oggi è il quinto. Viene chiesta la proibizione universale di metodi di maternità surrogata, che sono “una violazione della dignità di entrambi: la madre surrogata e il bambino”. Negli altri quattro punti, si chiede espressamente di valorizzare e restituire dignità al ruolo materno della donna; si denuncia la discriminazione cui sono oggetto in Occidente le donne – specie nei luoghi di lavoro – a causa della loro maternità; si chiede di porre fine a situazioni di sfruttamento e violenza della donna; si invocano politiche “reali ed efficaci” per consentire una conciliazione tra lavoro e maternità.
La prima presentazione di “Women of the world” è avvenuta il 3 marzo a Bruxelles, presso le Istituzioni dell’Unione europea. “Sino ad oggi – ha affermato Elenor Tamayo di Profesionales por la Ética intervenendo all’incontro – l’ideologia gender e il femminismo radicale hanno tentato di monopolizzare la voce e l’opinione delle donne”. Ma, continua la Tamayo “ora tutto questo deve finire. Ѐ il nostro turno, il turno delle donne che parlano come donne”. Di qui la consegna a non accettare più “il fatto che le istituzioni internazionali sviluppino politiche che ignorano, combattono o sopprimono l’identità della donna”.
Con l’intento di “far giungere alle Istituzioni internazionali ciò che noi, donne del mondo, vogliamo davvero” – come ha chiosato la Tamayo -, la dichiarazione è approdata la scorsa settimana alle Nazioni Unite, in occasione del 59esimo comitato delle Ong sullo stato della donna. Contestualmente, il 14 marzo al Palazzo di Vetro, è stato celebrato anche il 20esimo anniversario della Dichiarazione di Pechino, nella quale si sottolineò che i diritti delle donne sono diritti umani nel significato più pieno del termine.
Tre giorni dopo, il 17 marzo, “Women of The World” è stata presentata per la seconda volta a New York, durante il simposio Donne, Famiglia e Sviluppo Sostenibile organizzato dall’Istituto di Politica Familiare e l’Osservatorio Regionale per le Donne di America Latina e Caraibi.
Nel corso della terza presentazione, avvenuta il 19 marzo in occasione del convegno Pekín+20 – cambios del milenio, Luisa Peña – rappresentante di Profesionales por la Ética e promotrice dell’iniziativa Donna, madre e professionista – ha annunciato che alla dichiarazione “Women of the world” hanno finora aderito 148 organizzazioni e 47 Paesi. Questi ultimi vanno dalla Repubblica del Congo, il Kenya e Burkina Faso al Turkmenistan, al Kirghizistan, all’Iraq e al Libano, passando per la Nuova Caledonia, Trinidad e Tobago, Haiti, Ucraina e Bosnia. Le più grandi organizzazioni che vi hanno aderito provengono dalla Spagna, dalla Croazia, dalla Francia, dall’Italia, dal Messico e dall’Argentina.
L’auspicio è che sempre più Paesi e organizzazioni recepiscano e interpretino le istanze più autentiche delle donne contenute in “Women of the world”. È in questo testo che si trova l’antidoto a sterili ideologie che “sopprimono” l’identità sessuale sull’altare di un’omologazione che svilisce sia la donna sia l’uomo e arreca danno alla società.
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