DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del Monastero Santa Speranza sulle letture di domenica 29 Marzo.
Domenica delle Palme e della Passione del Signore: il tempo della quaresima è finito e noi siamo chiamati ad entrare con Gesù a Gerusalemme, dove si compiranno i giorni del suo mistero pasquale.
La Parola offertaci dalla Liturgia di questa domenica è sovrabbondante e, per accoglierla, abbiamo fatto spazio dentro di noi in questi quaranta giorni di deserto quaresimale, in cui il Signore stesso ci ha svelato il suo volto, passo dopo passo, fino a mostrarsi a tutti, nella sua nuda verità, dall’alto della croce.
Certo, ascolteremo il racconto della Passione, ci commuoveremo di fronte all’angoscia di Gesù, ci adireremo con Giuda il traditore, ci sdegneremo per il rinnegamento di Pietro e così via, ma, in verità, forse che un Dio così non scandalizza anche noi?
Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, scrive Paolo ai Filippesi, e ciò non è forse l’esatto contrario di quello che faremmo tutti noi, cioè trarre vantaggio da una situazione di privilegio, una certa carica o una posizione di potere? Ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, continua Paolo, costringendoci a guardarci allo specchio, noi che non aspiriamo ad altro che “riempirci” di tutto e di più al fine di essere almeno “al pari” degli altri, se proprio non possiamo essere “al di sopra”, noi, per cui sarebbe una maledizione essere “al di sotto”, come i servi.
Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce, parole queste di Paolo che non esiteremmo a denunciare come attentati alla nostra dignità e al nostro diritto di decidere autonomamente sulla nostra vita. Se questo è ripugnante per noi, come potremmo accettarlo riferito a Dio, non apparirebbe egli stesso svilito e disprezzabile ai nostri occhi, come il Servo sofferente di cui ci parla il profeta Isaia?
Di fronte a questa Parola, proviamo, allora a spogliarci noi di tutte le maschere e le armature con le quali ogni giorno affrontiamo agguerriti la vita e le relazioni, e proviamo a restare nudi, nella nostra fragilità e debolezza, con la nostra paura di non farcela, il nostro bisogno di essere amati, le nostre ferite e il nostro peccato e il desiderio di una vita piena, feconda, felice, per sempre!
Lasciamoci amare, servire, curare, salvare da questo Dio che per questo si è fatto simile agli uomini, per incontrarli nella loro verità e portarli con sé oltre il peccato e la morte, percorrendo primo tra molti fratelli l’unica strada che conduce alla Vita, quella dello svuotamento e del dono totale di se ai fratelli: Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi e ogni lingua proclami:«Gesù Cristo è Signore!» a gloria di Dio Padre.
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