La VI domenica di Quaresima è chiamata delle Palme e della Passione del Signore perché facciamo memoria dell’ingresso messianico di Gesù in Gerusalemme per compiervi il suo mistero pasquale. Essa introduce nella Settimana santa o «Grande Settimana», nei cui giorni la liturgia ci conduce, in un crescendo d’intensità, negli ultimi eventi della vita terrena di Gesù che culminerà nel Triduo pasquale. Il cuore della celebrazione è costituito dalla proclamazione della Passione del Signore secondo Marco. Ma cosa intendiamo per «passione»? Com’è noto, «passione» deriva dal verbo «patior» che significa soffrire, patire, sopportare. Quando parliamo della Passione di Gesù generalmente intendiamo la sua sofferenza culminata nella morte. Ma il termine «passione» non si esaurisce qui. «Passione» può indicare anche un’emozione, un forte sentimento, persino un impegno.1 Nei Vangeli entrano entrambe le due sfumature. Gesù è morto vittima di una sentenza ingiusta tra sofferenze fisiche e morali indicibili. Ma i Vangeli ci dicono anche che la sua Passione non è stata una sorpresa, ma che è scaturita anche dal suo impegno, dalla sua «passione», appunto, per il Regno di Dio e per la sua giustizia. Il racconto di Marco presenta nella sua drammaticità la cruda realtà dei fatti: di fronte al mistero della morte di Gesù l’evangelista non vuole aggiungere nulla, proclama lucidamente gli eventi perché siano essi a produrre uno choc nel lettore. Raccontando la realizzazione sconcertante del piano di Dio, espone i fatti nella loro oggettiva realtà e lo stile è spesso quello dell’improvvisazione orale, che dà al racconto maggiore vivacità. Sembra proprio il racconto di un testimone, che è rimasto colpito dall’evento e non teme di urtare il lettore; anzi cerca di farlo. Mette in risalto i contrasti, sottolinea il paradosso: la croce si rivela scandalosa, ma nello stesso tempo rivela il Figlio di Dio. È impressionante soprattutto il silenzio di Gesù. Poiché il suo mistero è troppo grande per essere compreso dagli uomini, Marco fa risaltare la solitudine di Gesù in tutta la sua durezza: solo, abbandonato da tutti, in preda all’angoscia, da vero uomo egli affronta la croce.
L’AMORE E IL DOLORE. Sono i giorni in cui la comunità si raccoglie attorno al racconto della passione di Cristo, la lettura più bella e regale che si possa fare, dove tutto ruota attorno alle due cose che reggono il cuore di ogni vita: l’amore e il dolore. L’ha colto per primo non un discepolo ma un estraneo, il centurione pagano: «davvero costui era Figlio di Dio!». Non da un sepolcro che si apre, non da uno sfolgorare di luce, ma nella nudità di quel venerdì, vedendo quell’uomo sulla croce, sul patibolo, sul trono dell’infamia, un verme nel vento, il soldato esperto di morte dice: «Costui era Figlio di Dio!». Ha visto uno morire d’amore, ed è cosa da Dio!
Pensiamo al «fare con passione», che caratterizza talora il nostro vivere e operare.
Perché Gesù è morto in croce? Per essere con noi e come noi. Perché noi possiamo essere con lui e come lui. Essere in croce è ciò che Dio, nel suo amore, deve all’uomo che è in croce. L’amore conosce molti doveri, ma il primo di questi doveri è di essere insieme con l’amato, come una madre quando il figlio sta male e vorrebbe ammalarsi lei per guarire il suo bambino. Dio entra nella morte perché là va ogni suo figlio. Per poi trascinarlo fuori, in alto, con sé risorgendo. È qualcosa che ci stordisce: un Dio che ci ha lavato i piedi e non gli è bastato, che ha dato il suo corpo da mangiare e non gli è bastato. Lo vediamo pendere nudo e disonorato, a braccia spalancate che ci grida: “vi amo!”.
UN LUNGO COUNTDOWN.
Il vangelo di Marco si presenta come un lungo “countdown”, “conteggio alla rovescia”, che porta appunto all’ora decisiva della morte di Gesù: «Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. Alle tre Gesù gridò a gran voce … Dando un forte grido, spirò».
Questo countdown era già apparso all’inizio, quando l’evangelista introduceva la figura del Battista rimandando all’indietro, alle promesse divine attestate nelle antiche Scritture d’Israele.
Poi seguiva il racconto del battesimo, delle tentazioni e della missione galilaica, fino a giungere al punto di svolta che, nel vangelo di Marco – come ben noto –, è la confessione di Pietro a Cesarea di Filippo.
Da questo momento non si fa più mistero del destino di morte del Figlio dell’uomo, ma anche della difficoltà dei discepoli a entrare in questa difficile logica della croce. Infatti, secondo la logica umana, sarebbe ben più facile seguire un Cristo trionfante e glorioso che porsi alla sequela di un Maestro rifiutato e sconfitto. Per questo, Gesù, subito dopo la confessione di Pietro, annunzia ai suoi discepoli che lo attende un destino di sofferenza e di morte, e aggiunge anche alcune indicazioni su come si può seguirlo in questo cammino verso la croce.
Le predizioni che Gesù fa della propria passione costellano il viaggio verso Gerusalemme, ma ogni volta trovano i discepoli increduli, incapaci di capire e, soprattutto, resistenti ad accogliere la verità che viene loro fatta balenare: la presenza di Dio si rivela nel fare della propria vita un dono, un servizio. Ci si avvicina così a Gerusalemme e la prospettiva della morte da lontana si fa vicina, prossima, imminente; il conteggio alla rovescia diventa evidente con l’ingresso messianico di Gesù a Gerusalemme e con le due successive giornate in cui deve discutere con i suoi avversari, che vogliono trovare elementi di accusa contro di lui. Il racconto della passione comincia con il capitolo 14, quando si segnala che «mancavano due giorni alla Pasqua e agli azzimi»; tutto accelera vorticosamente con il tradimento di un suo discepolo, Giuda, uno del gruppo dei Dodici!
Si arriva così alla Cena di Gesù con i Dodici, alla preghiera nel Gethsèmani e all’arresto. La notte trascorre negli interrogatori davanti al Sinedrio e, al mattino, Gesù viene condotto prigioniero davanti a Pilato. Le vicende sono ben note e il conteggio alla rovescia si fa assordante: «Erano le nove del mattino quando lo crocifissero»;
«Venuto il mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra»; «Alle tre Gesù gridò a gran voce …».
Proprio quest’ora della morte di Gesù è per Marco – come si vede dai segni cosmici che l’accompagnano e dal linguaggio mutuato dal Primo Testamento, specie dal profeta Amos – il giorno del Signore, il giorno della rivelazione escatologica di Dio. Dio si rivela nel Crocifisso e finalmente il suo mistero diventa accessibile anche ai pagani, come appare dal vertice del secondo vangelo, e cioè dalla confessione del centurione: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!».
Il racconto della sepoltura è pervaso da una strana quiete, piena d’attesa, quell’attesa che trova il suo appagamento in una parola che la trascende: «Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui».
MARCO PRESENTA UN RITRATTO DI GESÙ. Il Vangelo di Marco è stato definito «un racconto della passione con una lunga introduzione»: infatti il suo racconto della passione è la presentazione più eloquente della persona e della missione di Gesù. La sua morte anzitutto è conseguenza di una missione messianica: egli muore a causa del modo in cui è vissuto. Gesù si è impegnato a favore del Regno di Dio, ma la sua missione urta necessariamente contro l’opposizione e il rifiuto. Questa intima connessione tra il ministero di Gesù e la sua condanna a morte conferisce alla croce un significato attivo, in quanto è l’espressione estrema dell’impegno di Gesù di dare la vita per gli altri. Non è una semplice vittima cui sia stata imposta la morte: Gesù ha scelto la via che conduce alla croce, perché quello è il nucleo fondamentale del suo insegnamento. Con frequenti riferimenti letterari alla figura veterotestamentaria del Servo di Dio, la morte di Gesù viene proclamata con chiarezza come una morte-per-gli-altri. Secondo il provocatorio racconto di Marco, la vera identità di Gesù è riconosciuta attraverso la sua morte: la natura di Gesù Figlio di Dio si manifesta nella debolezza estrema della croce. Questa teologia di Marco, molto simile all’insegnamento di Paolo, mostra nella croce la potenza e la sapienza di Dio. Attraverso la croce Dio confonde la sapienza umana: Marco mostra che la passione è il momento più efficace del suo ministero, perché raccoglie i valori più profondi del suo ministero: servizio, superamento di sé, apertura agli altri. È questa un’idea di potenza completamente diversa dalla logica umana. L’umiliazione della passione e della morte non è disgiunta dall’esultanza della risurrezione, ma Marco dà più rilievo alla passione e alla morte: la gloria della risurrezione è certa, ma significativamente non viene narrata come negli altri vangeli. Il motivo è che, pur essendo certa, la risurrezione resta promessa, ma non ancora compiuta. Ciò ha una grande importanza per la Chiesa e i fedeli che meditano sulla passione di Gesù, il Figlio dell’uomo: l’evangelista Marco sottolinea che la gloria di Gesù è stata manifestata «nella» passione e non nonostante la passione. La tentazione di rimuovere lo scandalo della croce c’è sempre stata e sempre ci sarà, perché è imbarazzante, assurda e ingombrante: una volta che è risorto, che bisogno c’è di ricordare la passione e la morte con particolari tanto ripugnanti? Soprattutto Marco ci ricorda che lo scandalo non può essere rimosso, perché proprio lì e in quel modo Gesù ci è rivelato come il nostro Signore.
NELLA PASSIONE C’È ANCHE UN RITRATTO DELLA CHIESA. Lo scopo fondamentale della narrazione di Marco è quello di impartire direttive alla sua chiesa: la passione quindi contiene importanti insegnamenti sulla sequela cristiana. Particolare attenzione Marco dedica ai discepoli: a loro riconosce alcune qualità positive, ma sottolinea anche la loro debolezza, l’incapacità di capire e i cedimenti. La vita dei discepoli con Gesù ha la forma di un viaggio: dalla Galilea a Gerusalemme fino alla croce e poi di nuovo in Galilea. Queste componenti hanno un significato metaforico. Essere discepolo autentico è un processo che inizia con una chiamata divina, ma deve anche includere un processo di conversione a lunga scadenza. La passione è il momento della crisi e diventa scandalo: i discepoli devono assimilare il messaggio di Gesù, soprattutto l’uso corretto del potere. Di fronte alla croce i discepoli fuggono; ma la narrazione non termina con un fallimento. La risurrezione segna la purificazione dei falsi valori nella sofferenza e nel crollo fino alla riconciliazione e al rinnovamento. Di fronte alla fuga dei discepoli, emergono altri personaggi che rispondono positivamente e coraggiosamente. Il contrasto è forte e voluto. La donna di Betania intuisce che Gesù è destinato alla morte; Simone di Cirene porta la croce; Giuseppe d’Arimatea si occupa di un Cristo crocifisso. Le tre donne presenti alla croce hanno le caratteristiche dei discepoli: lo seguono, lo servono, sono salite con lui a Gerusalemme. Soprattutto il centurione romano è un imprevisto discepolo. Questo tipo di discepolo è presente in tutto il vangelo di Marco: molti personaggi rispondono a Gesù meglio dei discepoli. Questo contrasto fra «iniziati» e «estranei» serve a Marco per dire che la chiesa deve essere aperta a tutti, senza esclusivismo e pretesi privilegi. Altro tema significativo dell’ecclesiologia di Marco è la visione della chiesa come tempio vivo.
Gesù ha condannato un culto ipocrita ed esclusivista e con la sua morte ha inaugurato un «tempio non fatto da mani d’uomo». Nel momento in cui Gesù muore, il vecchio tempio è finito e al centurione è data la capacità di vedere Dio nella morte sacrificale di Gesù: questo è il primo atto di culto nel nuovo tempio. La croce offre un nuovo senso del sacro. La morte di Gesù ha un significato cosmico e rivela un modello di esperienza che caratterizza la chiesa: infatti la sofferenza e il trionfo di Gesù anticipano il compito della comunità nella storia. Anche la missione della chiesa ha un significato cosmico: il destino finale dell’umanità non sarà raggiunto finché la predicazione del Vangelo non avrà raggiunto i confini del mondo. Il travaglio della Chiesa è il dolore per la nascita di un mondo nuovo. 4 Il racconto della passione diventa così una parabola della lotta personale della comunità nella storia: mostra quanto costi predicare il Vangelo con coerenza. Nonostante i toni sobri, è un racconto di vittoria. Nonostante la prospettiva delle difficoltà, l’attenzione di Marco è all’annuncio del Vangelo nel mondo e per il bene del mondo finché nasca una nuova umanità. La Passione di Gesù è un messaggio universale; qui c’è la rivelazione totale di che cosa è l’uomo. Quest’uomo, Gesù di Nazareth, è morto per amore. È nell’adempiere l’impegno dell’amore che l’uomo trova il versante stupendo di se stesso su cui batte la luce della promessa di Dio. C’erano là molte donne che stavano a osservare da lontano. Piccolo gregge sgomento e coraggioso: la chiesa nasce lì, dalla contemplazione del volto del Dio crocifisso, nasce in quelle donne, che hanno verso Gesù lo stesso sguardo di amore e di dolore che Dio ha sul mondo. Allora sostiamo in questi giorni, con Maria e le donne, accanto alle infinite croci del mondo dove Cristo è ancora oggi crocifisso nei suoi fratelli, in loro disprezzato, scartato, ucciso. Sentiamo premere sul nostro cuore la passione di ogni figlio dell’uomo, guardiamo il mondo come un Calvario, una sola collina di croci. E se insieme resistiamo a portare conforto e speranza, sentiremo che a Pasqua «riprende a rotolare armoniosamente la nostra vita nella mano di Dio».
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