Come in tutte le guerre, anche in quella dello Yemen si consuma una strana alleanza: uno dei due schieramenti in campo è formato dalle milizie fedeli all’ex presidente Ali Abdullah Saleh e dagli houthi – seguaci dello zaidismo, la setta minoritaria dell’Islam sciita – che hanno governato il Nord del Paese per mille anni, fino al 1962.
Nel 2004, quando gli houthi si ribellarono e chiesero l’autonomia, a far scattare la repressione fu Saleh, che fu poi costretto alle dimissioni tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012, grazie alla “primavera araba” e alle pressioni esercitate proprio dagli houthi e dal gruppo Islah, all’interno del quale c’erano i Fratelli Musulmani. Con la transizione politica, guidata dai Paesi del Gulf Cooperation Cuncil (l’organismo che riunisce le monarchie sunnite del Golfo), il potere venne affidato ad Abdel Rabbo Monsour Hadi, sostenuto dagli Stati Uniti, interessati ad opporsi ad al Qaeda nel Sud e agli houthi nel Nord. Saleh continuò, però, a controllare parte dei funzionari al Governo e dei militari. Fu un compromesso, in parte accettato anche dai sauditi, per evitare una guerra civile. L’ex presidente ha stipulato con gli houthi un “matrimonio di convenienza” – com’è stato chiamato – che consente l’espansione della loro influenza verso il Sud del Paese. La situazione è precipitata dopo il colpo di stato del 22 gennaio e gli attentati del 20 marzo, compiuti dall’Is contro due moschee sciite a Sanaa e l’avanzata degli houthi su Aden, dove si è rifugiato il presidente Hadi. L’Arabia Saudita – con l’appoggio di Emirati Arabi, Bahrain, Kuwait, Qatar, Giordania, Marocco e Sudan – ha iniziato i suoi raid aerei contro le colonne e le postazioni militari houthi, coinvolgendo anche i civili.
Quella che così ha avuto inizio, non è una guerra “qualsiasi”. È la più temibile crisi internazionale degli ultimi anni. Sulle sorti del Paese più povero del Medioriente – che occupa una posizione strategica – si “gioca” lo scontro tra le due componenti dell’Islam, sunnita e sciita, deflagrato con la rivoluzione iraniana del 1979, che portò all’instaurazione di una teocrazia islamica, sciita, in contrapposizione con tutti i Paesi governati dai sunniti nel Golfo Persico. Se nella guerra siriana si è vissuta uno lotta violentissima tra questi due “mondi”, nello Yemen la situazione potrebbe divenire ancor più devastante: sembra che l’altro giorno navi egiziane schierate a controllo delle coste meridionali del Mar Rosso abbiano messo in fuga una nave da guerra iraniana che nel porto di al-Saleef aveva scaricato 180 tonnellate di armi. Da parte sunnita, si sta preparando un’operazione – denominata “Tempesta decisiva” – che includerebbe 150mila militari e circa 200 aerei. Se le cose dovessero procedere e vi fosse il beneplacito delle Nazioni Unite, si profilerebbe una mattanza tra le truppe arabe con le milizie sunnite yemenite e le forze houthi, affiancate da parte dell’esercito yemenita.
Il retroscena del conflitto riguarda l’intenzione, innanzitutto dell’Arabia Saudita – che nello Yemen vorrebbe ripetere l’operazione effettuata nel 2011 in Bahrein – di contenere l’espansione dell’Iran nel Medioriente, che coincide con gli interessi di Israele e degli Stati Uniti. Qui c’è un altro punto di contraddizione, perché da un lato sono in dirittura d’arrivo gli accordi tra Washington e Teheran sul nucleare e, dall’altro, è oggettivamente difficile compromettere il sostegno che il più grande Paese sciita sta fornendo alla coalizione internazionale contro l’Isis.
A questo quadro, si aggiunga il fatto che nello Yemen meridionale è forte la presenza destabilizzante di al Qaeda, schierato contro gli houthi. Questi elementi, insieme alla considerazione che nello Yemen i membri della religione sciita zaidita sono dieci milioni e che gli houthi dispongono di almeno 100mila combattenti, portano a ritenere che non si tratterrà di una guerra semplice e breve. Se così fosse, il rischio, non solo per il Medioriente, diverrebbe altissimo: il Paese diverrebbe l’occasione e il teatro del più feroce scontro mai visto tra le due componenti religiose dell’Islam. L’Europa e l’Occidente che fanno? Si barcamenano. Non decidono. Non prendono iniziative. Si limitano alle dichiarazioni e stanno a guardare.