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A tu per tu con Don Stefano Iacono, parroco di Villa Lempa

Don Stefanodi Sara De Simplicio

CIVITELLA DEL TRONTO – Le porte della Parrocchia di Villa Lempa si sono aperte per l’Ancora e ad accoglierci calorosamente c’era Don Stefano Iacono, originario di San Benedetto del Tronto e qui dal 2008, che ci ha raccontato un po’ della sua esperienza pastorale, del suo presente e del suo passato.

Don Stefano, raccontaci come è nata la tua vocazione.
La mia vocazione è nata in un momento in cui avevo “tutto” quello che un ragazzo può desiderare: una ragazza, un lavoro stabile e quindi anche una certa indipendenza economica.. tutti elementi positivi che, però, messi insieme non riuscivano a sconfiggere la tristezza interiore e a fermare la mia ricerca di una felicità più autentica. Poi, ascoltando  alcune parole dette da un sacerdote nel 1993, sentii che quella Parola era rivolta proprio a me..sentivo che pian piano il mio cuore indurito iniziava a “spaccarsi”, e la conferma che il Signore mi stava chiamando a servirlo mi arrivò quando, un giorno, guardando in tv una statua di gesso  raffigurante la Madonna che lacrimava sangue, sentii ancora “tutto per me” quell’Amore Materno che mi toccava il cuore..

Come presero i tuoi genitori a suo tempo la tua vocazione sacerdotale?
Con i miei genitori all’inizio non è stato facile perché, come già detto, avevo un lavoro e una fidanzata alla quale loro si erano anche affezionati. Diciamo che erano un po’ preoccupati per il percorso che volevo intraprendere… uno stravolgimento al quale non li avevo preparati neanche un po’. Ho visto, però, come la provvidenza di Dio mi ha sempre aiutato, sia negli studi sia, in generale, nel portare avanti la strada del sacerdozio. Una volta passato il periodo iniziale, infatti, i miei genitori si sono mostrati contentissimi e mi hanno appoggiato e sostenuto. Ne approfitto per lasciare un messaggio ai genitori di oggi: devono abbandonare l’ottica per cui i figli devono essere come loro li desiderano. Non devono scegliere la strada che sembra più giusta per loro, ma assecondare quella che Dio ha preparato per ognuno di noi, pensando alla felicità dei loro figli e non ai propri desideri che, come genitori, proiettano su di loro.

Com’è per te essere oggi sacerdote a Villa Lempa?
La parrocchia di Villa Lempa, pur avendo solo un migliaio di abitanti, è” viva” e frequentata sia da giovani, che da adulti e da anziani. Sento che qui c’è molta “sete” di Dio e il 30% di loro frequenta costantemente la parrocchia. I giovani sono molto attivi e pian piano li stiamo inserendo vicino ai catechisti. Poi quest’anno ho introdotto le 40 ore e la risposta della gente è stata buona. Posso dire che fortunatamente in questa comunità c’è il desiderio di crescere insieme, si avverte una brama di fede che nelle grandi città, ,invece, si sta purtroppo perdendo.

Qual è stato il momento più bello e più significativo da quando sei sacerdote?
Sicuramente il giorno dell’ordinazione..che mi ha cambiato totalmente la vita. Poi ce n’è un altro: può sembrare strano ma è legato ai sei mesi passati in cura all’ospedale Gemelli di Roma. Dopo essere stato operato per un tumore alla tiroide, c’erano state delle complicazioni e il rischio era che la malattia avesse toccato il sistema linfatico. E lì, nella Cappella dell’ospedale, è esposto un bellissimo Sacro Cuore… Ricordo che un giorno mi avvicinai e, guardandolo con un’immensa serenità e pace nel cuore, gli rivolsi dentro di me queste parole: “Signore, a me piacerebbe ancora fare il sacerdote ma se è ora di partire io parto..come vuoi Tu”. E poi, dopo qualche giorno, arrivò la carta che ufficialmente diceva che il sistema linfatico non era stato toccato dalla malattia e che ero fuori pericolo. Per questo, io dico sempre di essere nato due volte: la prima il 3 dicembre e la seconda il 5 luglio 2002.
Quasi paradossalmente, proprio in quei mesi di malattia, ho vissuto i giorni più belli del mio sacerdozio perché li, in un reparto delicato come quello oncologico, a contatto con bambini e giovani che lottano per vivere, ho capito il vero valore della vita e della sofferenza.

Che messaggio vorresti lasciare ai giovani e alle famiglie che oggi si trovano in difficoltà?
Lo dico come sacerdote e come uomo.. di fidarsi sempre di Dio, perché chi confida in Lui non rimane mai deluso. Anche nella mia famiglia ci sono stati momenti di crisi ma ho sempre visto la mano provvidente di Dio che non fa mancare nulla, spiritualmente e anche materialmente, a chi si affida a Lui. Bisogna, però, avere pazienza perché il “tutto e subito” non è la mentalità di Dio: Lui chiede di seguirlo, di fare quel salto di qualità dicendo semplicemente “si” e permettere così a Lui di cambiarti la vita. Per questo insegnamento, devo ringraziare i miei genitori e soprattutto mia madre, una “martire”, una donna che ha sofferto molto perché malata di una forte osteoporosi, chiamata in ospedale da tutti “la donna di cristallo”, lei che con la sua perseveranza mi ripeteva sempre, senza stancarsi mai..“Fijo mio confida comunque e sempre in Dio”.