Per antichissima tradizione, oggi la Chiesa non celebra l’Eucaristia, ma vive con intensità la liturgia della Passione del Signore e sosta in adorazione della croce, sorgente della sua salvezza, per contemplare il compi-mento dell’amore e del dono di Cristo.
«Vedete in che modo Cristo unì a sé la sua Sposa, vedete con quale cibo ci nutre. Per il suo sangue nasciamo, con il suo sangue alimentiamo la nostra vita. Come la donna nutre il figlio col proprio latte, così il Cristo nutre costantemente col suo sangue coloro che ha rigenerato».
Non un giorno di lutto e di pianto, ma di amorosa contemplazione del sacrificio di Cristo, per purificare e rinnovare nel suo sangue l’alleanza sponsale. L’elemento fondamentale della liturgia odierna è la proclamazione della Parola, introdotta da un profondo silenzio ritmato dai passi del celebrante e dei ministri che si recano all’altare attraversando la navata della chiesa. Molto suggestiva è la prostrazione prolungata dei ministri, che insieme al silenzio orante dell’assemblea in ginocchio conferisce all’azione liturgica sin dall’inizio una drammatica intensità, che cresce progressivamente con la proclamazione delle letture.
Nella prima lettura ascoltiamo il quarto canto del servo del Signore, disprezzato e reietto dagli uomini, trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità, maltrattato e umiliato come agnello condotto al macello, che dopo il suo intimo tormento però rivede la luce, viene onorato, esaltato ed innalzato grandemente. Nel servo giusto che giustificherà molti scorgiamo i tratti stessi del Figlio di Dio, che si è fatto obbediente fino alla morte e a una morte così ignominiosa, e che reso perfetto è divenuto causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono.
Ma è soprattutto nel racconto della Passione del Signore secondo il Vangelo di Giovanni che emerge con chiarezza la glorificazione di Cristo, la sua esaltazione regale sulla croce, il compimento dell’Ora in cui la nuova alleanza viene sancita in modo definitivo da Dio nel sangue del vero Agnello pasquale.
Il silenzio che ha introdotto la solenne liturgia della Passione prosegue fino al Sabato santo, giorno di atte-sa, pieno di speranza e di trepidazione, come ricorda un’antica omelia che si legge nell’Ufficio delle letture del Sabato santo: «Che cosa è avvenuto? Oggi sulla terra c’è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme: la terra è rimasta sbigottita e tace perché il Dio fatto carne si è addormentato e ha svegliato coloro che da secoli dormivano. Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi». La Chiesa orante attende in silenzio la risurrezione del suo Signore.
COSÌ HA SOFFERTO …
Descrizione degli atroci dolori sofferti da Gesù, durante la sua passione, fatta da un grande studioso francese, il dott. Barbet, chirurgo e patologo, che l’ha redatta sulla scorta dei Vangeli e della Sindone. Dal vol. di Mons. FAUSTO ROSSI, «Ancora nel Gethsèmani, Egli cerca l’amore», 1986 (esaurito).
«Io sono soprattutto un chirurgo; ho insegnato a lungo. Per tredici anni sono vissuto in compagnia di cadaveri; durante la mia carriera ho studiato a fondo l’anatomia. Posso dunque scrivere senza presunzione.
Gesù entrato in agonia nel Gethsèmani – scrive l’evangelista Luca – pregava più intensamente. E diede in un sudore “come gocce di sangue” che cadevano fino a terra. Il solo Evangelista che riporta il fatto è un medico, Luca. E lo fa con la precisione di un clinico. Il sudar sangue, o ematoidrosi, è un fenomeno rarissimo.
Si produce in condizioni eccezionali: a provocarlo ci vuole una spossatezza fisica, accompagnata da una scossa morale violenta causata da una profonda emozione, da una grande paura. Il terrore, lo spavento, l’angoscia terribile di sentirsi carico di tutti i peccati degli uomini devono aver schiacciato Gesù.
Tale tensione estrema produce la rottura delle finissime vene capillari che stanno sotto le ghiandole sudoripare, il sangue si mescola al sudore e si raccoglie sulla pelle; poi cola per tutto il corpo fino a terra.
Conosciamo la farsa del processo imbastito dal Sinedrio ebraico, l’invio di Gesù a Pilato ed il ballottaggio fra il procuratore romano ed Erode.
Pilato cede e ordina la flagellazione di Gesù. I soldati spogliano Gesù e lo legano per i polsi a una colonna dell’atrio. La flagellazione si effettua con delle strisce di cuoio multiple su cui sono fissate due palline di piombo e degli ossicini. Le tracce nella Sindone di Torino sono innumerevoli; la maggior parte delle sferzate è sulle spalle, sulla schiena, sulla regione lombare e anche sul petto. I carnefici devono essere stati due, uno da ciascun lato, di ineguale corporatura. Colpiscono a staffilate la pelle, già alterata da milioni di microscopiche emorragie del sudore di sangue. La pelle si lacera e si spacca; il sangue zampilla. A ogni colpo Gesù trasale in un soprassalto di dolore. Le forze gli vengono meno: un sudore freddo gli imperla la fronte, la testa gira in una vertigine di nausea, brividi gli corrono lungo la schiena. Se non fosse legato molto in alto per i polsi, crollerebbe in una pozza di sangue.
Poi lo scherno dell’incoronazione. Con lunghe spine, più dure di quelle dell’acacia, gli aguzzini intrecciano una specie di casco e glielo applicano sul capo. Le spine penetrano nel cuoio capelluto e lo fanno sanguinare (i chirurghi sanno quanto sanguina il cuoio capelluto).
Dalla Sindone si rileva che un forte colpo di bastone, dato obliquamente, lasciò sulla guancia destra di Gesù una orribile piaga contusa; il naso è deformato da una frattura dell’ala cartilaginea.
Pilato, dopo aver mostrato quell’uomo straziato alla folla inferocita, glielo consegna per la crocifissione. Caricano sulle spalle di Gesù il grosso braccio orizzontale della croce pesa una cinquantina di chili. Il palo verticale è già piantato sul Calvario.
Gesù cammina a piedi scalzi per le strade dal fondo irregolare cosparso di ciottoli.
I soldati lo tirano con corde. Il percorso, fortunatamente, non è molto lungo, circa 600 metri. Gesù, a fatica, trascina un piede dopo l’altro; spesso cade sulle ginocchia. E la spalla di Gesù è coperta di piaghe. Quando egli cade a terra, la trave gli sfugge e gli scortica il dorso.
Sul Calvario ha inizio la crocifissione i carnefici spogliano il condannato; ma la sua tunica è incollata alle piaghe e il toglierla è atroce. Avete mai staccato la garza medicazione da un larga piaga contusa? Non avete sofferto voi stessi questa prova che richiede talvolta l’anestesia generale? Potete allora rendervi conto di che si tratta. Ogni filo di stoffa aderisce al tessuto della carne viva: a levare la tunica, si lacerano le terminazioni nervose messe allo scoperto dalle piaghe. I carnefici danno uno strappo violento. Come mai quel dolore atroce non provoca una sincope? Il sangue riprende a scorrere; Gesù viene disteso sul dorso. Le sue piaghe si incrostano di polvere e di ghiaietta. Lo distendono sul braccio orizzontale della croce. Gli aguzzini prendono le misure. Un giro di succhiello nel legno per facilitare la penetrazione dei chiodi: orribile supplizio!
Il carnefice prende un chiodo (un lungo chiodo appuntito e quadrato), lo appoggia sul polso di Gesù, con un colpo netto di martello glielo pianta e lo ribatte saldamente sul legno. Gesù deve avere spaventosamente contratto il volto. Nello stesso istante il suo pollice, con un movimento violento si è posto in opposizione nel palmo della mano; il nervo mediano è stato leso.
Si può immaginare ciò che Gesù deve aver provato: un dolore lancinante, acutissimo, che si è diffuso nelle dita, è zampillato come una lingua di fuoco, nella spalla, gli ha folgorato il cervello. È il dolore più insopportabile che un uomo possa provare, quello dato dalla ferita dei grossi tronchi nervosi. Di solito provoca una sincope e fa perdere la conoscenza. In Gesù no. Almeno il nervo fosse stato tagliato netto! Invece (lo si constata spesso sperimentalmente) il nervo è distrutto solo in parte: la lesione del tronco nervoso rimane in contatto col chiodo: quando il corpo sarà sospeso sulla croce, il nervo si tenderà fortemente come una corda di violino tesa sul ponticello. A ogni scossa, a ogni movimento, vibrerà risvegliando dolori strazianti. Un supplizio che durerà tre ore.
Il carnefice e il suo aiutante impugnano le estremità della trave; sollevano Gesù mettendolo prima seduto e poi in piedi; quindi facendolo camminare all’indietro, lo addossano al palo verticale. Poi rapidamente incastrano il braccio orizzontale della croce sul palo verticale. Le spalle della vittima hanno strisciato dolorosamente sul legno ruvido. Le punte taglienti della grande corona di spine vi hanno lacerato il cranio. La povera testa di Gesù è inclinata in avanti, poiché lo spessore del casco di spine le impedisce di appoggiarsi al legno. Ogni volta che il martire solleva la testa, riprendono le fitte acutissime.
Gli inchiodano i piedi.
È mezzogiorno. Gesù ha sete. Non ha bevuto dalla sera precedente. I lineamenti sono tirati, il volto è una maschera di sangue. La bocca e semiaperta e il labbro inferiore comincia a pendere. La gola, secca, gli brucia, ma egli non può deglutire. Ha sete. Un soldato gli tende, sulla punta della canna, una spugna imbevuta di bevanda acidula, in uso tra i militari. Tutto ciò è una tortura atroce.
Uno strano fenomeno si produce sul corpo di Gesù. I muscoli delle braccia si irrigidiscono in una contrazione che va accentuandosi: i deltoidi, i bicipiti sono tesi e rilevati, le dita si incurvano. Si direbbe un ferito colpito da tetano, in preda a quelle orribili crisi che non si possono descrivere. È ciò che i medici chiamano tetania, quando crampi si generalizzano: i muscoli dell’addome si irrigidiscono in onde immobili; poi quelli intercostali, quelli del collo e quelli respiratori. Il respiro si è fatto, a poco poco, più corto. L’aria entra con un sibilo, ma non riesce più ad uscire.
Gesù respira con l’apice dei polmoni. Ha sete di aria: come un asmatico in piena crisi. Il suo volto pallido a poco a poco diventa rosso, poi trascolora nel violetto purpureo e infine nel cianotico. Gesù, colpito da asfissia, soffoca. I polmoni, gonfi d’aria, non possono più svuotarsi. La fronte è imperlata di sudore, gli occhi escono fuori dall’orbita. Che dolori atroci devono aver martellato il suo cranio!
Ma cosa avviene? Lentamente con uno sforzo sovrumano. Gesù ha preso un punto di appoggio sul chiodo dei piedi. Facendosi forza a piccoli colpi, si tira su alleggerendo la trazione delle braccia. I muscoli del torace si distendono. La respirazione diventa più ampia e profonda, i polmoni si svuotano e il viso riprende il pallore primitivo.
Perché questo sforzo? Perché Gesù vuole parlare: “Padre, perdona loro: non sanno quello che fanno”.
Dopo un istante il corpo ricomincia ad afflosciarsi e l’asfissia riprende. Sono state tramandate sette frasi pronunciate da Lui in croce: ogni volta che vuol parlare, dovrà sollevarsi tenendosi ritto sui chiodi dei piedi, inimmaginabile!
Sciami di mosche, grosse mosche verdi e blu, ronzano attorno al suo corpo; gli si accaniscono sul viso, ma egli non può scacciarle.
Dopo un po’, il cielo si oscura, il sole si nasconde: d’un tratto la temperatura si abbassa. Fra poco saranno le tre del pomeriggio. Gesù lotta sempre: di quando in quando si solleva per respirare. E l’asfissia periodica dell’infelice che viene strozzato. Una tortura che dura tre ore.
Tutti i suoi dolori, la sete, i crampi l’asfissia, le vibrazioni dei nervi mediani, gli hanno strappato un la-mento: “Dio mio. Dio mio perché mi hai abbandonato?”.
Ai piedi della croce stava la madre di Gesù. Potete immaginare lo strazio di quella donna? Gesù grida: “Tutto è compiuto”. Poi a gran voce dice: “Padre, nelle tue mani raccomando il mio spirito”. E muore».
UNA PREGHIERA DI CONTEMPLAZIONE.
Ti contempliamo sulla croce, Gesù:
le tue braccia allargate manifestano
che tu sei pronto ad accogliere ognuno di noi,
col suo pesante fardello di debolezze e d’infedeltà.
Ti contempliamo sulla croce, Gesù:
le tue mani sanguinanti sono pronte
ad offrire tenerezza e misericordia ad ognuno di noi
che accetta di lasciarsi perdonare
e trasformare dal tuo amore.
Ti contempliamo sulla croce, Gesù:
i tuoi piedi maciullati brutalmente dai chiodi
sono disposti sempre a cercarci
nei luoghi del nostro smarrimento,
nelle regioni del nostro egoismo,
sulle strade che percorriamo affamati e disorientati.
Ti contempliamo sulla croce, Gesù:
il tuo costato, aperto dalla lancia,
fa scendere su di noi il sangue e l’acqua
capaci di rigenerare la nostra esistenza
e di portarci una vita nuova.
Ti contempliamo sulla croce, Gesù:
il tuo volto, bagnato di sudore e di sangue,
torturato dalla corona di spine,
sfigurato dallo spasimo dell’agonia,
manifesta quanto è grande il tuo amore,
quanto consolante la tua misericordia.
Amen.
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