DIOCESI – Giovedì 2 Aprile alle ore 10.30, presso la Cattedrale Madonna della Marina il Vescovo Carlo Bresciani ha presieduto la Santa Messa Crismale con tutti i sacerdoti della Diocesi.
Vescovo Carlo: “La memoria del giovedì santo che stiamo celebrando ci riporta all’ultimo incontro di Gesù con i suoi apostoli.
All’ultima cena volle che ci fossero solo i 12 apostoli: lo volle positivamente.
Credo che non sia stata estranea la volontà di comunicare con questo che quel gruppo era una comunità tutta particolare alla cui unità voleva affidare la Chiesa che sarebbe scaturita dall’acqua e dal sangue del costato trafitto. Non a caso la sua ultima grande preghiera fu per l’unità: Gesù sapeva bene quale grande sfida avrebbe ciò costituito per gli apostoli stessi e per la Chiesa tutta.
Siamo qui, idealmente tutti i sacerdoti e diaconi della nostra chiesa diocesana, anche noi riuniti attorno alla cena che Gesù ha preparato per noi, chiamati da lui a condividerla, ma soprattutto chiamati a condividere la sua missione, quella che il Padre gli ha affidato e che dovrà passare attraverso la croce.
E’ bello e per me motivo di gioia poter vivere con voi, cari sacerdoti questo momento in una intimità e in una comunione spirituale che vorrebbe poter attingere e rivivere qualcosa di quella intimità che Gesù visse con i suoi apostoli. Vorrei che questa intimità fosse l’alimento di ogni momento della nostra esistenza sacerdotale oltre che il sostegno delle fatiche del nostro ministero. Vorrei poter essere per voi quel conforto e quella medicina di cui avete bisogno. Sapendo, con mia umiliazione, di non riuscire ad esserlo come dovrei, mi affido e vi affido a Colui che è la sola medicina di ciascuno di noi.
Gesù sapeva che tra i suoi apostoli ce n’era uno che l’avrebbe tradito. Egli era a mensa con Gesù, ha mangiato di quel pane in risposta al “prendete e mangiate, questo è il mio corpo”, ha bevuto di quel vino in risposta al “prendete e bevete, questo è il mio sangue”, ma il suo cuore era lontano dalla comunione con Gesù. Quel mangiare e quel bere non gli sono serviti alla conversione ed è rimasto nel suo proposito di tradire. Potremmo dire che ha partecipato al rito, ma quel rito per lui era vuoto, solo fatto esteriore, per nulla introduzione a una comunione più profonda con Gesù. Ha partecipato al rito pasquale, mentre collocava se stesso in un contesto di prontezza a lasciare la comunità degli apostoli, e tutto sommato non gli interessava nulla di Gesù, tanto da arrivare a un bacio traditore.
Da sempre, almeno fin dalle denunce profetiche di Isaia (cfr. Is 1, 11ss.), sappiamo che non è il rito esteriore che Dio vuole e che dà l’autenticità della vita di fede. Si possono calpestare gli atri del Signore, offrire sacrifici nel tempio, ma essere completamente lontani dalla volontà di Dio. Questo suona richiamo a ciascuno di noi, sacerdoti che calpestiamo ogni giorno gli atri del Signore e offriamo il sacrificio eucaristico per noi e per il popolo.
Oggi corriamo il rischio che i sacramenti, soprattutto quelli dell’iniziazione cristiana, ma non solo, vengano ridotti a rito esteriore che rispetta una tradizione, ma che non porta a una introduzione alla vita cristiana.
Siamo arrivati a chiamarli ‘sacramenti dell’addio’, perché, invece che essere inizio della vita cristiana, vengono ad essere di fatto la celebrazione dell’addio alla stessa vita cristiana. Si prendono i trenta denari dei regali e si abbandona la mensa del Signore. Sono sacramenti richiesti ancora dalla maggioranza dei nostri ragazzi e molti si sposano ancora in chiesa e questo dovrebbe confortarci. In realtà dobbiamo chiederci quale tipo di Chiesa stiamo costruendo con essi e quale tipo di rapporto con Gesù sta dietro riti che tendono a chiudersi su se stessi e non vivificano la Chiesa.
Sono domande a cui è molto difficile dare una risposta tranciante e semplicistica, cosa sempre rischiosa, ma credo che non possiamo eluderle in virtù della responsabilità che Gesù ci ha affidato quando, affidandoci il ministero a servizio della Chiesa, ci ha consegnato i sacramenti.
Dopo il Concilio Vaticano II, abbiamo insistito, e giustamente, sul fatto che per partecipare pienamente alla santa messa è opportuno anche accostarsi alla comunione, forse un po’ meno opportunamente abbiamo tralasciato di educare sulle condizioni necessarie per ricevere con frutto e degnamente il sacramento eucaristico, così come gli altri sacramenti. Ci troviamo oggi di fronte a un numero crescente di sacramentalizzati che non saranno educati cristianamente o che, ricevuto il sacramento, lasciano la frequenza alla Chiesa e non sanno più cosa sia la vita cristiana.
Mi domando se questa è la Chiesa che voleva Gesù e se questo è il senso del sacramento da lui istituito. Sappiamo bene che il “fate questo in memoria di me” non riguarda solo la ripetizione materiale del suo gesto, ma soprattutto l’imitazione del suo donare la vita per amore di Dio e dei fratelli. Se il sacramento non porta a questo, con tutte le fatiche e talora le lentezze di un cammino umano che solo Dio può sostenere, allora il sacramento perde la sua verità e diventa un rito, magari desiderato fortemente e anche consolatorio, ma sicuramente lontano dalla volontà di Dio.
Carissimi sacerdoti, noi ci nutriamo ogni giorno dell’eucaristia per ravvivare, con la grazia di Dio, la nostra volontà di donarci a Lui per il bene della Chiesa. Sappiamo bene che non c’è un donarsi veramente a Lui senza donarsi al suo corpo che è la Chiesa con i suoi limiti umani, ma anche con la sua immensa realtà spirituale. I sacramenti sono per noi l’indispensabile pane del cammino, che talora può avere il sapore del deserto, ma che è manna donataci dal cielo. Anche noi dobbiamo lottare in prima persona contro la forza dell’abitudine che ci porterebbe a celebrare correttamente dal punto di vista dell’esecuzione del rito, ma con il cuore intiepidito o distratto dalle tante incombenze del ministero. Anche per noi c’è il rischio che la celebrazione dei sacramenti non ci tolga dalla freddezza e dal torpore del ‘si è sempre fatto così’ e non ci ravvivi nella volontà di una effettiva comunione tra di noi, cartina di tornasole dell’effettiva comunione con Dio.
Il Signore ci ha affidato un ministero prezioso e bellissimo, ci ha fatto partecipi della sua stessa missione, nientedimeno; non ci ha promesso l’applauso della gente che è sempre volubile e, che, anche quando ci fosse, sappiamo di non poterci comunque basare su di esso per il nostro ministero, ma solo sulla Sua parola e sul Suo mandato. Ma Egli ci vuole uniti, come ha voluto i suoi apostoli uniti a celebrare con Lui la pasqua.
Egli ci ha affidato un tesoro – il suo Vangelo, il suo corpo e il suo sangue, tutti i sacramenti – in vasi di creta (2Cor 4, 7), tesoro che dobbiamo custodire nel suo autentico valore per noi e per i nostri fedeli; dobbiamo custodirne la sua potenza salvifica come amministratori fedeli e saggi che dovranno renderne conto; dobbiamo custodirlo per coloro che chiedono oggi e chiederanno in futuro una vera comunione con Dio in un cammino di fede con la Chiesa.
Carissimi sacerdoti, mentre ci disponiamo a rinnovare le nostre promesse sacerdotali, sentiamoci in profonda comunione tra noi e con Gesù; siamo chiamati a mangiare la Pasqua con Lui; siamo da Lui invitati a vegliare e vigilare in preghiera perché “lo spirito è pronto, ma la carne è debole” (Mt 26, 41) e ne siamo ben consapevoli. Uniti a Lui, alla Chiesa e tra di noi potremo attraversare con sicurezza il passaggio, la pasqua, verso la terra in cui le sue promesse potranno essere realizzate in noi a beneficio dei fedeli che Egli ha voluto affidarci.
Il Signore vi benedica per il tanto bene che fate e vi doni la grazia di poterlo moltiplicare per la santificazione vostra e della nostra amata Chiesa diocesana”.
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