Lavanda

Zenit di Federico Cenci

La lunga fila di detenuti assiepati nel viale d’ingresso del carcere di Rebibbia accoglie la candida veste di papa Francesco come un bagliore sfavillante di misericordia. Al suo ingresso nel cancello del penitenziario, si illuminano gli occhi di molti di loro, persino si velano di lacrime quando le mani del Vicario di Cristo si muovono per dare una carezza o per impartire una benedizione, o quando dalle sue labbra escono parole di conforto e incoraggiamento verso questi fratelli che sono “caduti”.

Anche quest’anno, recandosi nella Casa Circondariale di Rebibbia per celebrare la Messa in Coena Domini del Giovedì Santo, Francesco ha scelto un luogo alla “periferia” nel quale portare un segno d’umiltà, di misericordia e di amore. È proprio l’amore, del resto, il nocciolo della sua omelia nella chiesa del “Padre Nostro”, interna al carcere, gremita di circa 300 persone.

“Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13, 1). In questa frase del Vangelo, il Pontefice individua “il centro di quello che ha fatto Gesù per tutti noi”. Egli ricorda per due volte all’Assemblea che “Gesù ci ama”, e lo fa “senza limiti, sempre, fino alla fine”. Rammenta inoltre che il Signore non fa discriminazioni, in quanto “non si stanca di amare nessuno. Ama tutti noi, al punto di dare la vita per noi. Sì, dare la vita per noi, per ognuno di noi, con nome e cognome”.

E dopo aver affermato che il Signore, oltre a non stancarsi di amare, “non si stanca di perdonare” di “abbracciarci”, papa Francesco si sofferma sulla Lavanda dei Piedi. Egli spiega che questo gesto inizialmente non fu capito dai discepoli di Gesù. Lavare i piedi, del resto, era un esercizio riservato agli schiavi nei confronti di coloro che entravano, come ospiti, nelle case dei loro padroni. “A quel tempo la gente aveva i piedi sporchi di polvere per il cammino… non c’erano i sampietrini per terra”, ha aggiunto il Santo Padre strappando un sorriso ai presenti.

Ebbene, Gesù decide di compiere quel gesto di estrema umiltà dicendo a Pietro: “Questo che io faccio tu ora non lo capisci, lo capirai dopo…”, afferma Francesco. Che quindi aggiunge: “È tanto l’amore di Gesù, che si è fatto schiavo per servirci, per guarirci, per pulirci”.

Di qui l’invito: “Nel cuore nostro dobbiamo avere la certezza che il Signore, quando ci lava i piedi, ci lava tutto, ci purifica. Ci fa sentire un’altra volta il suo amore”. Per sottolineare il concetto, egli cita una frase del profeta Isaia: “Se una mamma si dimenticasse dle suo figlio, io mai mi dimenticherò di te” (Is 49, 15).

Un amore immenso, dunque, quello del Signore. Che si esprime attraverso il lavaggio dei piedi di cui si fa memoria nel Giovedì Santo. A tal proposito, nel corso dell’omelia il Papa ricorda che di lì a poco compierà questo gesto, nei confronti di dodici detenuti che rappresentano “tutti quelli che abitano qui”.

E poi soggiunge: “Anche io ho bisogno di essere lavato dal Signore. E per questo pregate durante questa Messa: perché il Signore lavi le mie sporcizie e io diventi più schiavo di voi. Più schiavo nel servizio alla gente, come è stato Gesù”.

Terminata l’omelia, papa Francesco si è chinato per lavare e poi baciare i piedi dei dodici “ospiti” del carcere, sei uomini e sei donne, metà dei quali di origine straniera. A conclusione della cerimonia, il Santo Padre si è nuovamente intrattenuto con i presenti, dispensando abbracci, saluti e baci e ricevendo un lungo e caloroso applauso. Alla fine, il Papa si è lasciato alle spalle il carcere con un volto sorridente ma segnato dalla stanchezza. Una stanchezza che, come spiegato dallo stesso Francesco nel corso dell’omelia della Messa Crismale di stamattina, “va dritta al cuore del Padre”.

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